32.5 La Costituzione repubblicana
I contrasti politici culminati nell'esclusione delle sinistre dal governo non impedirono ai partiti antifascisti di mantenere quel minimo di solidarietà che era necessaria alla Repubblica per superare le due prime e fondamentali prove che le si ponevano di fronte: la conclusione del trattato di pace - che fu firmato, come si vedrà più avanti, nel febbraio '47 - e soprattutto il varo della Costituzione.
L'Assemblea costituente incaricata di dare al paese una nuova legge fondamentale, dopo lo Statuto albertino di cento anni prima, cominciò i suoi lavori il 24 giugno 1946 e li concluse il 22 dicembre 1947 con l'approvazione a larghissima maggioranza del testo costituzionale, che entrò in vigore dal 1° gennaio 1948. La Costituzione repubblicana si ispirava ai modelli democratici ottocenteschi per la parte riguardante le istituzioni e i diritti politici: essa dava vita infatti a un sistema di tipo parlamentare, col governo responsabile di fronte alle due Camere (la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica), titolari del potere legislativo, entrambe elette a suffragio universale e incaricate anche di scegliere, in seduta congiunta, un capo dello Stato con mandato settennale. Era inoltre previsto che una Corte costituzionale vigilasse sulla conformità delle leggi alla Costituzione, che le leggi stesse potessero essere sottoposte a referendum abrogativo - ed eventualmente annullate - dietro richiesta di almeno 500.000 cittadini, che la vecchia struttura centralistica dello Stato fosse spezzata creando il nuovo istituto della regione, dotato di ampi poteri (anche legislativi).
Le norme relative alla Corte costituzionale, al referendum e alle regioni (come altri punti importanti della Costituzione) erano però destinate a restare inattuate per molti anni. Anche perché, per volontà delle forze moderate, la Costituente non era stata investita dei poteri legislativi ordinari, che rimasero in via provvisoria affidati al governo, e non ebbe quindi la possibilità di tradurre immediatamente in leggi applicative le norme del dettato costituzionale. Non sempre, inoltre, avrebbero trovato riscontro nella realtà alcune affermazioni in materia di diritti sociali, che rappresentavano la maggiore novità rispetto ai modelli ottocenteschi: tra l'altro, era sancito il "diritto al lavoro" ed era stabilito che il diritto di proprietà potesse essere limitato a vantaggio del benessere collettivo.
Nel complesso la Costituzione rappresentò un compromesso equilibrato - e non più contestato in seguito - fra le istanze delle diverse forze politiche che avevano contribuito a realizzarla. Certo fu merito dei costituenti l'aver raggiunto questo risultato nonostante il contemporaneo radicalizzarsi della lotta politica e nonostante l'asprezza dei contrasti che si aprirono su singole questioni. Lo scontro più clamoroso si verificò nel marzo '47, quando si discusse la proposta democristiana di inserire nella Costituzione un articolo (l'articolo 7) in cui si stabiliva che i rapporti fra Stato e Chiesa erano regolati dal concordato stipulato nel 1929 fra Santa Sede e regime fascista. La proposta sembrava destinata a essere respinta. Ma all'ultimo momento, con una decisione che destò non poco scalpore, Togliatti annunciò il voto favorevole del Pci, motivando la sua scelta con la volontà di rispettare il sentimento religioso della popolazione italiana e di non creare fratture in seno alle masse. L'articolo 7 fu così approvato, nonostante l'opposizione dei socialisti e degli altri partiti laici.
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