31.9 Il sottosviluppo
Se il non allineamento apparve fin dagli anni '50 il comune denominatore politico del Terzo Mondo, il sottosviluppo sembrò rappresentarne, con uguale semplificazione, la dimensione economica. Quello di "sottosviluppo" è un concetto dinamico, che va ben oltre la nozione tradizionale e "statica" di povertà. Esso indica un'arretratezza o un ritardo rispetto allo sviluppo economico dei paesi di più antica industrializzazione, nonché rispetto alle attese di crescita nate dall'incontro con i paesi ricchi.
La categoria del "sottosviluppo" abbracciò fin dall'inizio realtà economiche e sociali diverse. Al di là delle differenze, emergevano tuttavia alcune caratteristiche comuni a quasi tutti i paesi di nuova indipendenza: la carenza di strutture industriali; l'arretratezza dell'agricoltura, caratterizzata il più delle volte dalla persistenza dei vecchi regimi fondiari e da una produttività molto bassa (mediamente inferiore alla metà di quella dell'Europa all'inizio della rivoluzione industriale); la crescente emarginazione dalle grandi correnti degli scambi internazionali (fra il '48 e il '70 la partecipazione dei paesi del Terzo Mondo al commercio mondiale è scesa dal 33 al 18%); la drammatica sproporzione fra le risorse disponibili e una popolazione in continuo, inarrestabile aumento (
34.4). Da tutto ciò emergeva un quadro di generale e sconsolante povertà. Intorno al 1960, nei paesi definiti in via di sviluppo il reddito pro-capite era mediamente inferiore di dieci volte a quello dei paesi industrializzati; l'analfabetismo era ancora molto diffuso (con punte del 90% e oltre in alcuni Stati africani); le infrastrutture civili e le attrezzature igienico-sanitarie largamente carenti; la sottoalimentazione una realtà molto diffusa.
Non si trattava certamente di fatti nuovi, ma nuova fu la percezione del fenomeno. L'allargamento dell'orizzonte mondiale provocato dalla decolonizzazione fece sì che la povertà di massa che affliggeva i due terzi della popolazione del globo non potesse più essere considerata come una condizione "naturale", ma diventasse invece una flagrante smentita a quel principio di uguaglianza dei popoli che era alla base del nuovo ordine affermatosi dopo la seconda guerra mondiale. Questa problematica fu inoltre amplificata dall'atteggiamento "rivendicazionista" assunto dalla maggior parte dei paesi del Terzo Mondo nei confronti dell'Occidente sviluppato, accusato di aver costruito il suo benessere sullo sfruttamento coloniale, e poi su quello "neocoloniale", e dunque chiamato a dividere questo benessere con i paesi più poveri. Anche nella sinistra occidentale hanno avuto largo corso, soprattutto negli anni '60, teorie che vedevano la causa principale del sottosviluppo nel carattere "ineguale" degli scambi commerciali fra paesi industrializzati e produttori di materie prime.
Le vicende recenti del Terzo Mondo - dove si è prodotta una crescente divaricazione fra i paesi che sono riusciti ad avviare un processo di sviluppo e quelli che hanno visto peggiorare la propria condizione - hanno comunque mostrato l'insufficienza delle spiegazioni troppo univoche. Come la definizione politica di Terzo Mondo è diventata più labile e incerta, così anche quella economica di sottosviluppo appare troppo generica di fronte alle complesse articolazioni del fenomeno. Il dibattito sui fattori del sottosviluppo e sui mezzi per uscirne è ancora aperto. Ma si può dire che, nel complesso, l'accento si è spostato sulle cause "interne" e sui fattori non puramente economici: l'assetto preesistente della proprietà terriera; il ruolo dello Stato e della pubblica amministrazione; le politiche demografiche; in generale, la capacità delle singole culture di adattarsi o meno ai processi di innovazione economica.
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