14.9 Il boom demografico
La rivoluzione tecnologica dell'ultimo trentennio del secolo scorso non si limitò a cambiare quella che oggi chiameremmo la "qualità" della vita degli abitanti dei paesi economicamente più avanzati, ma ne allungò considerevolmente la durata media. Il boom demografico dell'Europa e del Nord America era cominciato in coincidenza con la rivoluzione industriale e con l'introduzione di nuove tecniche agricole. A partire dalla seconda metà dell'800, i progressi della medicina e dell'igiene, assieme agli sviluppi dell'industria alimentare, determinarono un ulteriore aumento della popolazione. I grandi fattori che nei secoli precedenti avevano inciso negativamente sull'andamento demografico - epidemie e carestie - sembravano ormai definitivamente eliminati, nonostante alcuni episodi significativi ma marginali che ancora colpivano le aree più depresse (come il colera a Napoli e a Palermo nel 1884-85).
La vita media dell'uomo europeo, che era di 30-35 anni prima della rivoluzione industriale e di circa 40 verso la metà dell'800, poté quindi salire a 50 anni alla fine del secolo. La popolazione del vecchio continente, che fra il 1800 e il 1850 era passata da 190 a 270 milioni, raggiunse nel 1900 i 425 milioni: l'aumento fu dunque di quasi il 60% in cinquant'anni, senza contare i circa 30 milioni di individui che avevano abbandonato l'Europa e si erano in buona parte trasferiti nel Nord America: dove l'immigrazione, sommandosi all'incremento naturale della popolazione, fece quasi quadruplicare il numero degli abitanti (da poco più di 20 milioni nel 1850 a quasi 80 nel 1900).
Questo vistoso aumento della popolazione - fondato su incrementi annui non particolarmente elevati, ma costanti e protratti nel tempo - fu tanto più notevole in quanto era dovuto essenzialmente alla caduta della mortalità ed era accompagnato da una progressiva riduzione della natalità. La tendenza al calo delle nascite, per effetto del controllo della fecondità e della diffusione di metodi contraccettivi, si manifestò precocemente in Francia alla fine del XVIII secolo (anche in conseguenza degli sconvolgimenti economici, sociali e culturali portati dalla rivoluzione dell'89) e si diffuse in seguito in tutto l'Occidente. Questo comportamento demografico, proprio dei paesi economicamente più avanzati, esprimeva un nuovo atteggiamento nei confronti della vita dei figli: un atteggiamento svincolato da presunte "leggi naturali", meno soggetto al tradizionale controllo delle norme religiose e orientato invece a programmare razionalmente la famiglia e il suo futuro. Agli inizi dell'età industriale i principali paesi europei avevano un tasso di natalità medio che si aggirava intorno al 35 (ossia 35 nati per anno su mille abitanti). Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti, il tasso scese sotto il 30, cioè sotto quella che i demografi considerano come la soglia critica per distinguere i paesi a bassa da quelli ad alta fecondità. In Francia la natalità era inferiore al 30 già nel decennio 1830-39. In Italia e in altri paesi mediterranei, ancora alla fine dell'800, il tasso si manteneva invece ben al di sopra del 35: sarebbe sceso sotto il 30 solo negli anni '20 di questo secolo.
Per quanto riguarda l'Asia e l'Africa, anch'esse conobbero nella seconda metà del secolo XIX, nonostante il permanere di alti tassi di mortalità, un incremento della popolazione abbastanza consistente (rispettivamente del 30 e del 20%), anche se molto più limitato di quello dell'Europa. Il rapporto fra la crescita demografica delle aree industrializzate e quella dei paesi non ancora toccati dalla modernizzazione avrebbe cominciato a invertirsi solo con l'inizio del '900.
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