31.4 La rivoluzione nasseriana in Egitto e la crisi di Suez
All'inizio degli anni '50, il nazionalismo arabo trovò il suo centro e la sua guida indiscussa nell'Egitto, certo il più importante fra gli Stati del Medio Oriente per popolazione, per posizione strategica e per tradizioni storiche. Nel paese, formalmente indipendente dal '22, la spinta nazionalista sembrava essersi esaurita negli anni '30 in un compromesso con gli inglesi, che avevano rinunciato al controllo sulla politica estera e sulla difesa, ma avevano mantenuto la loro presenza militare nella zona del Canale di Suez. Di fatto, la monarchia egiziana restava legata alla Gran Bretagna e teneva in piedi, con l'appoggio inglese, un sistema di governo sempre più corrotto e inefficiente, contestato sia dalla borghesia più progressista, sia dalle forze integraliste islamiche che facevano capo alla setta dei Fratelli musulmani. Ma la scossa decisiva venne dall'esercito. Nel luglio 1952, un Comitato di ufficiali liberi guidato da Mohammed Neguib e da
Gamal Abdel Nasser assunse il potere rovesciando la monarchia. Nel 1954, Nasser allontanò il più moderato Neguib e rimase arbitro della situazione. Il nuovo regime avviò una serie di riforme in senso socialista (redistribuzione della terra, nazionalizzazione delle principali attività economiche) e tentò di promuovere un processo di industrializzazione.
In politica estera, Nasser si mosse con decisione per affrancare il paese da ogni condizionamento da parte delle potenze ex coloniali e rivelò subito l'ambizione di assumere la guida dei paesi arabi nella lotta contro Israele; ottenne lo sgombero delle truppe inglesi dalla zona del Canale e stipulò accordi con l'Urss per aiuti economici e militari. Reagendo a quello che appariva come uno scivolamento verso posizioni filosovietiche, gli Stati Uniti bloccarono nel '56 il finanziamento da parte della Banca mondiale della grande diga di Assuan, sull'alto Nilo, necessaria per l'elettrificazione del paese. Nasser rispose nazionalizzando la Compagnia del Canale di Suez, dove inglesi e francesi conservavano forti interessi. Si aprì a questo punto una crisi internazionale di vasta portata. Nell'ottobre 1956, d'intesa con i governi di Londra e Parigi, Israele attaccò l'Egitto e lo sconfisse, penetrando in profondità nella penisola del Sinai, mentre truppe francesi e inglesi occupavano la zona del Canale. A far fallire questo tentativo di riesumare obiettivi e metodi del vecchio colonialismo fu l'atteggiamento delle due superpotenze: gli Stati Uniti non diedero alcun appoggio all'impresa, anzi la condannarono apertamente; l'Urss inviò addirittura un ultimatum a Francia, Gran Bretagna e Israele. Prive dell'appoggio americano, le due vecchie potenze coloniali dovettero cedere. Mentre Israele si ritirava dal Sinai, le truppe franco-inglesi abbandonavano la zona del Canale.
L'effetto più immediato della crisi di Suez fu quello di rafforzare la posizione dell'Egitto e soprattutto il prestigio personale di Nasser. Rilanciando con contenuti più moderni la causa del panarabismo (ossia dell'unità fra tutti i popoli arabi), il leader egiziano acquistò un'immensa popolarità presso le masse popolari e la borghesia intellettuale di tutto il mondo islamico e diede all'Egitto una posizione di preminenza fra i paesi in via di sviluppo. L'impatto del nasserismo sugli equilibri politici dell'area medio-orientale fu in effetti dirompente. Già nel '54 in Siria si era affermato un regime militare di ispirazione panaraba che, nel '58, accettò la fusione con l'Egitto, nell'ambito della Repubblica araba unita sotto la presidenza di Nasser. La fusione fra Egitto e Siria si rivelò in realtà di breve durata (fu annullata nel '61), come altri esperimenti analoghi tentati successivamente con altri paesi. Più in generale, i sogni di unità panaraba si scontrarono ben presto con la realtà delle gelosie nazionali e delle divisioni ideologiche. Tuttavia il richiamo del panarabismo nella versione nasseriana rimase molto forte.
Di ispirazione nasseriana, anche se con connotati particolari di ortodossia islamica, fu la rivoluzione che, nel 1969, depose la monarchia in Libia e portò al potere i militari guidati dal giovane colonnello
Muhammar Gheddafi. Il regime di Gheddafi - che fra i suoi primi atti nazionalizzò le compagnie petrolifere straniere ed espulse la numerosa comunità italiana ancora residente nel paese - si sarebbe in seguito caratterizzato per il tentativo di realizzare un'inedita forma di "socialismo islamico" e soprattutto per il dinamismo a tratti avventuroso della sua politica estera: una politica che lo ha portato ad appoggiare la causa di tutti i movimenti di guerriglia "anti-imperialisti" e a inserirsi nei conflitti interni di vari paesi africani, creando uno stato di permanente tensione con i regimi arabi moderati e soprattutto con gli Stati Uniti.
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