18.9 Verso la prima guerra mondiale
Nel decennio che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale, i due blocchi di potenze che si erano venuti a formare nell'Europa di inizio secolo si fronteggiarono in un contesto internazionale sempre più inquieto, dove ai vecchi motivi di contrasto (il "revanscismo" francese nei confronti della Germania, la rivalità austro-russa nei Balcani) si sommavano le nuove tensioni derivanti dalla politica sempre più aggressiva dell'Impero tedesco e dalla sua competizione con la Gran Bretagna per la superiorità navale. In queste condizioni accadeva di frequente che le tensioni vecchie e nuove si traducessero in crisi acute, ognuna delle quali rischiava di innescare il meccanismo di un conflitto generale.
Due furono in questo periodo i più pericolosi punti di frizione. Il primo e il più importante era l'ormai cronico focolaio balcanico. Il secondo era costituito dal Marocco, uno degli ultimi Stati africani indipendenti, oggetto da tempo delle mire francesi (avallate dall'Inghilterra con l'Intesa cordiale del 1904) e proprio per questo scelto dalla Germania come ultimo possibile terreno di scontro per contrastare lo strapotere delle potenze rivali in campo coloniale. Per due volte, nel 1905 e nel 1911, il contrasto franco-tedesco sul Marocco sembrò portare l'Europa sull'orlo della guerra. Alla fine la Francia riuscì a spuntarla, grazie alla solidarietà dei suoi alleati, e si vide riconosciuto un formale protettorato sul territorio conteso. La Germania ottenne in cambio una striscia del Congo francese: un risultato modesto che confermava l'isolamento diplomatico in cui la politica guglielmina aveva condotto il Reich tedesco e alimentava per reazione le spinte militariste e aggressive.
Se l'esito pacifico delle due "crisi marocchine" confermava la regola per cui i contrasti coloniali non erano causa di guerra fra le potenze europee, i pericoli maggiori per la pace sul continente vennero in questo periodo dalla zona balcanica, dove la crisi dell'Impero ottomano, aggravata dalla spinta dei vecchi e nuovi nazionalismi, creava un'area di continua turbolenza. A mettere in movimento una situazione già precaria fu, nel 1908, uno sconvolgimento interno dell'Impero ottomano: la cosiddetta rivoluzione dei giovani turchi. Quello dei "giovani turchi" era un movimento composto in prevalenza da intellettuali e da ufficiali che si proponevano la trasformazione dell'Impero, retto da istituzioni autocratiche e arretratissimo sul piano economico, in una moderna monarchia costituzionale. Nell'estate del 1908, un gruppo di ufficiali marciò con le proprie truppe sulla capitale e costrinse il sultano a concedere una costituzione. Il nuovo regime tentò di realizzare, con qualche successo, un'opera di modernizzazione dello Stato. Ma non seppe avviare a soluzione il problema dei rapporti con i popoli europei ancora soggetti all'Impero, in stato di endemica rivolta. Al contrario, i giovani turchi cercarono di attuare un ordinamento amministrativo più centralistico di quello, autoritario ma inefficiente, del vecchio regime; e ottennero l'effetto di accentuare le spinte indipendentiste e di accelerare la dissoluzione di quanto restava della presenza turca in Europa.
Della crisi interna all'Impero ottomano profittò subito l'Austria-Ungheria per procedere, nell'ottobre 1908, all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina, che le erano state assegnate in "amministrazione temporanea" al congresso di Berlino del 1878. La mossa austriaca provocò un immediato inasprimento della tensione con la Serbia - che mirava a unificare sotto il suo regno gli slavi del Sud - e con la stessa Russia, che della Serbia era la grande protettrice. Appoggiata risolutamente dall'alleata Germania, l'Austria riuscì però a far accettare alle altre potenze il fatto compiuto. I due imperi centrali ottennero così un successo diplomatico; ma lo pagarono con una radicalizzazione del nazionalismo sud-slavo e con un indebolimento della Triplice alleanza: l'Italia, infatti, subì a malincuore l'iniziativa austriaca che alterava l'equilibrio balcanico senza essere accompagnata da nessuno di quei "compensi" previsti dal trattato nel rinnovo del 1887 (
16.7).
Pochi anni dopo, fu proprio l'Italia a riportare alla ribalta, sia pure indirettamente, l'intricatissimo nodo balcanico. L'occupazione italiana della Tripolitania, nel 1911, provocò infatti (come vedremo più avanti,
20.7) una guerra con la Turchia, che subì l'ennesima sconfitta. La sconfitta turca stimolò a sua volta le mire dei piccoli Stati balcanici, attivamente incoraggiati dalla Russia. Nel 1912, Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria strinsero una coalizione e, in ottobre, mossero guerra all'Impero ottomano sconfiggendolo in pochi mesi. La Turchia perse tutti i territori che ancora conservava in Europa (salvo una striscia della Tracia che le consentiva il controllo degli stretti). Sulla costa meridionale dell'Adriatico nasceva inoltre un nuovo piccolo Stato, il principato di Albania, voluto dall'Austria e dall'Italia per impedire alla Serbia lo sbocco al mare.
Ma, al momento della spartizione dei territori conquistati, si ruppe l'alleanza fra gli Stati balcanici. Nel giugno 1913 la Bulgaria, che aveva sostenuto il maggior peso nella guerra contro la Turchia e si riteneva sacrificata nella divisione del bottino, attaccò improvvisamente la Grecia e la Serbia. Contro l'aggressione bulgara si formò una nuova coalizione. Alla Serbia e alla Grecia si unirono la Romania, che non aveva partecipato alla guerra precedente, e la stessa Turchia. La Bulgaria, sconfitta, dovette restituire alla Turchia una parte della Tracia e cedere alla Romania una striscia di territorio sul Mar Nero.
Il bilancio finale delle due guerre balcaniche risultava così largamente sfavorevole per gli imperi centrali. Il loro maggiore alleato, l'Impero turco, era stato praticamente estromesso dall'Europa. Né una sorte molto migliore era toccata alla Bulgaria che fra i piccoli Stati balcanici era il più legato alla Germania e all'Austria. La Serbia, vera spina nel fianco della monarchia austro-ungarica, si era considerevolmente rafforzata raddoppiando quasi il suo territorio senza per questo attenuare la sua ostilità verso l'Impero asburgico, che le aveva precluso lo sbocco sull'Adriatico e ostacolava i suoi disegni di unificazione dei popoli slavi. In queste condizioni si faceva sempre più forte nei circoli dirigenti austriaci, e soprattutto fra i militari, la tentazione di liquidare una volta per tutte i conti con la Serbia. Ma se l'Austria avesse attaccato la Serbia, come avrebbe potuto la Russia rimanere inerte? E, in caso di conflitto austro-russo, come si sarebbero comportate le altre potenze, soprattutto la Germania e la Francia, legate da stretti vincoli di alleanza militare rispettivamente all'Impero degli Asburgo e a quello degli zar? A questi interrogativi erano legate, come a un filo sottile, le sorti della pace in Europa e nel mondo.
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