13. L'Europa nell'età di Bismarck
13.1 La svolta del 1870
"La nazione vuole soprattutto potere. Il modo di vita del piccolo Stato viene aborrito come condizione d'infamia. [...] Si vuole appartenere soltanto a qualcosa di grande, e così si rivela chiaramente che il primo fine è la potenza e che la cultura è solo un fine secondario. Più in particolare, si vuol far valere verso l'esterno la volontà collettiva, a dispetto di altri popoli." Così il grande storico svizzero Jacob Burckhardt, in una pagina scritta all'inizio degli anni '70, sintetizzava efficacemente la nuova concezione dello Stato e dei rapporti internazionali che, affermatasi soprattutto in Germania, andava contagiando l'intera Europa all'indomani della guerra franco-prussiana. Il modo stesso in cui era stata preparata e realizzata l'unità tedesca aveva fatto tramontare, agli occhi di molti uomini politici e di molti intellettuali, alcuni fra i princìpi fondamentali della cultura liberal-democratica ottocentesca, come il diritto di nazionalità e la libertà dei popoli. Si affermava sempre più l'ideologia della forza, del fatto compiuto, della pura politica di potenza (in tedesco Machtpolitik), fondata sullo sviluppo degli eserciti permanenti e degli armamenti di terra e di mare. A questo nuovo clima contribuì, come vedremo meglio in seguito, il mutamento della congiuntura economica, che indusse quasi tutti gli Stati europei a ripudiare la politica del libero scambio e ad accentuare le misure protezionistiche. Si dissolse così, nel giro di pochi anni, quell'atmosfera di ottimismo e di fiducia nella cooperazione economica internazionale e nella libera concorrenza che aveva caratterizzato gli anni '50 e '60.
Eppure, nonostante queste inquietanti premesse, quello che seguì il 1870 fu per l'Europa occidentale un periodo di pace, anzi il più lungo periodo di pace di cui il vecchio continente avesse mai goduto dagli albori dell'età moderna. Compiutisi i processi di unificazione nazionale italiano e tedesco, la carta politica d'Europa assunse un aspetto più definito e più stabile. Non per questo vennero meno i motivi di rivalità e di attrito. Ma il teatro delle tensioni si spostò ai margini del continente, verso la penisola balcanica e il Mediterraneo, per poi allargarsi ai territori dell'Asia e dell'Africa, oggetto della grande competizione imperialistica degli ultimi decenni del secolo. Per il possesso delle colonie (lo vedremo nel cap. 15) quasi tutte le potenze europee si impegnarono in conflitti, talvolta lunghi e sanguinosi: ma si trattava di guerre combattute lontano dalla madrepatria, che non videro mai le potenze coloniali affrontarsi direttamente l'una contro l'altra. Il risultato fu che per quasi mezzo secolo - dal 1870 al 1914 - nessuna regione d'Europa, con l'eccezione della penisola balcanica, fu mai attraversata da eserciti in guerra e non conobbe quindi i traumi e le distruzioni che sempre si accompagnano a un conflitto. Gli effetti di questa lunga "pace armata" sul progresso civile e sul benessere materiale della popolazione europea furono indubbiamente positivi, soprattutto in quei paesi che già nel periodo precedente si erano posti all'avanguardia dello sviluppo economico: la Germania unita, la Gran Bretagna e la Francia.
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