25.3 Il "grande crollo" del 1929
In una situazione già incerta e carica di segnali allarmanti si abbatterono gli effetti catastrofici del crollo della borsa di New York: un evento che fu a un tempo la spia del malessere serpeggiante nell'economia mondiale e l'elemento propulsore che portò d'un tratto in superficie tutti gli squilibri accumulatisi nel precedente periodo di espansione.
Il corso dei titoli a Wall Street raggiunse i livelli più elevati all'inizio del settembre 1929. Seguirono alcune settimane di incertezza durante le quali cominciò a emergere la propensione degli speculatori a liquidare i propri pacchetti azionari per realizzare i guadagni fin allora ottenuti. Il 24 ottobre, il "giovedì nero", furono venduti 13 milioni di titoli; il 29 le vendite ammontarono a 16 milioni. La corsa alle vendite determinò naturalmente una precipitosa caduta del valore dei titoli, distruggendo in pochi giorni i sogni di ricchezza dei loro possessori. A metà novembre le quotazioni si stabilizzarono su valori più o meno dimezzati. Ma intanto molte fortune si erano volatilizzate, con conseguenze facilmente immaginabili non solo sul piano economico: nel solo "giovedì nero" vi furono a New York undici suicidi fra speculatori e agenti di borsa.
Il crollo del mercato azionario colpì in primo luogo i ceti ricchi e benestanti. Ma, riducendo drasticamente la loro capacità di acquisto e di investimento, finì con l'avere conseguenze disastrose sull'economia di tutto il paese e sull'intero sistema economico mondiale, che ormai dipendeva in larga parte da quello statunitense. Gli effetti planetari della crisi furono aggravati dal fatto che gli Usa, anziché assumersi le responsabilità connesse al ruolo di potenza egemone sul piano economico (e farsi dunque carico della stabilità del sistema internazionale), cercarono innanzitutto di difendere la loro produzione inasprendo il protezionismo e contemporaneamente ridussero, fino a sospenderla, l'erogazione dei crediti all'estero. Il protezionismo statunitense indusse gli altri paesi ad adottare misure analoghe a difesa della propria bilancia commerciale. Fra il 1929 e il 1932 - l'anno in cui la crisi giunse al culmine - il valore del commercio mondiale si contrasse di oltre il 60% rispetto al triennio precedente.
Attraverso la contrazione degli scambi, la recessione economica si diffuse in tutto il mondo - con la significativa eccezione dell'Urss - come una spaventosa epidemia, presentandosi ovunque con i medesimi sintomi e con la stessa dinamica: un'industria chiudeva i battenti perché priva di ordini, licenziando i suoi dipendenti; i lavoratori privi di occupazione erano costretti a ridurre i loro consumi; il mercato diventava così sempre più asfittico, provocando il crollo di altre imprese, portando alla rovina gli esercizi commerciali, aggravando la crisi dell'agricoltura che non trovava più sbocchi per i suoi prodotti. Fra il '29 e il '32, la produzione mondiale di manufatti diminuì del 30% e quella di materie prime del 26%. I prezzi caddero bruscamente sia nel settore industriale sia, soprattutto, in quello agricolo (dove il calo fu di oltre il 50%). I disoccupati raggiunsero il numero di 14 milioni negli Stati Uniti e di 15 milioni in Europa, cui si deve aggiungere la cifra, ingente anche se incalcolabile, dei sottoccupati. Nel complesso un consistente impoverimento colpì la massa dei lavoratori urbani e rurali, generando uno stato di generale incertezza, una crisi di sfiducia che in molti paesi fu all'origine di profondi mutamenti politici.
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