17.3 Le nuove stratificazioni sociali
Gli esordi della società di massa, se da un lato tendevano a creare uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali di una parte crescente della popolazione, dall'altro rendevano più mobile e più complessa la stratificazione sociale. Nella classe operaia si veniva accentuando la distinzione fra la manodopera generica e i lavoratori qualificati, fra il grosso del proletariato e le cosiddette "aristocrazie operaie", che partecipavano in misura maggiore ai vantaggi dello sviluppo capitalistico. Contemporaneamente, l'espansione del settore dei servizi e la crescita degli apparati burocratici facevano aumentare la consistenza di un
ceto medio urbano che andava sempre più distinguendosi dagli strati superiori della borghesia.
A ingrossare le file di questo ceto medio contribuivano sia il settore del lavoro autonomo sia quello del lavoro dipendente. La crescita dei lavoratori autonomi fu dovuta in parte alla moltiplicazione degli esercizi commerciali, in parte all'emergere di nuove attività (il fotografo, il meccanico, il dattilografo), che compensava ampiamente il declino delle botteghe artigiane e la progressiva scomparsa di alcuni vecchi mestieri (lo scrivano, il maniscalco, l'acquaiolo). La categoria dei dipendenti pubblici si allargava di pari passo con l'aumento delle competenze dello Stato e delle amministrazioni locali in materia di sanità, di istruzione, di trasporti e di altri servizi. E ancora più rapidamente cresceva la massa degli addetti al settore privato (tecnici, impiegati, commessi) che svolgevano mansioni non manuali: quelli che più tardi sarebbero stati chiamati "colletti bianchi" (per sottolineare il contrasto con i "colletti blu" delle tute degli operai). In Germania, ad esempio, in poco più di quarant'anni (fra il 1883 e il 1925) il numero dei "colletti bianchi" aumentò di circa cinque volte, mentre quello degli operai si limitò a raddoppiare.
Già alla vigilia della prima guerra mondiale, nei paesi più industrializzati e più toccati dai processi di modernizzazione produttiva, "colletti bianchi" e impiegati statali costituivano una massa abbastanza omogenea e numerosa, anche se non paragonabile per consistenza (come sarebbe avvenuto in tempi più recenti) a quella dei lavoratori manuali.
Nella scala dei redditi, i ceti medi impiegatizi occupavano una posizione molto distante da quella dell'alta borghesia e tendenzialmente più vicina a quella degli strati "privilegiati" della classe operaia. Dal punto di vista della cultura, della mentalità, dei comportamenti sociali, la distinzione fra piccola borghesia e proletariato era però molto netta. I ceti medi rifiutavano ogni identificazione con le masse lavoratrici, erano per lo più refrattari a inquadrarsi nelle organizzazioni sindacali e puntavano sul merito individuale per progredire nella scala sociale. Agli ideali tipici della tradizione operaia (la solidarietà, lo spirito di classe, l'internazionalismo) contrapponevano i valori storici della borghesia: l'individualismo e la rispettabilità, la proprietà privata e il risparmio, il senso della gerarchia e il patriottismo. Anzi, si atteggiavano a depositari di questi valori, magari in polemica con l'alta borghesia industriale e bancaria che tendeva a diventare cosmopolita e ad assumere modelli di comportamento tipici delle classi aristocratiche.
Ceto "di confine", privo di una originale identità culturale e di una propria, autonoma rappresentanza politica, la piccola borghesia impiegatizia era destinata tuttavia, man mano che cresceva in consistenza numerica, a svolgere un ruolo di primo piano: sia nel campo economico, in quanto principale destinataria di una serie di beni di consumo prodotti dall'industria, sia in quello politico, come elettorato di massa, capace, a seconda delle sue oscillazioni, di far pendere la bilancia dalla parte delle forze conservatrici o di quelle progressiste.
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