15.9 La crescita del Giappone e la crisi della Cina
Alla fine del XIX secolo, il Giappone si affacciò prepotentemente sulla scena della competizione imperialistica in Asia. Nel 1894, in seguito a contrasti che avevano per oggetto la Corea, uno Stato fin allora vassallo della Cina, i giapponesi mossero guerra all'Impero cinese e lo sconfissero per terra e per mare, dando una prima prova della loro efficienza bellica. La Cina dovette rinunciare a ogni influenza sulla Corea e cedere al Giappone vari territori, fra cui l'isola di Formosa. Le potenze occidentali cercarono da un lato di contenere i successi del Giappone, dall'altro profittarono dell'ennesima sconfitta della Cina per ritagliarsi nel paese nuove zone di influenza economica.
La prospettiva di uno sgretolamento dell'Impero provocò per reazione la nascita di un movimento conservatore, nazionalista e xenofobo che si proponeva la restaurazione integrale delle antiche tradizioni imperiali. Questo movimento trovò il suo braccio armato in una società segreta a carattere paramilitare, nota in Occidente come movimento dei boxers (ossia pugili, dal nome di un'antica società ginnica denominata "Pugni della giustizia e dell'armonia"). Nel 1900, in seguito a una serie di violenze compiute dai boxers contro i simboli e gli stessi rappresentanti della presenza straniera, le grandi potenze - compresi Stati Uniti e Giappone - si accordarono per un intervento militare congiunto. In due settimane la rivolta fu sedata e Pechino venne occupata dalle truppe alleate. La rivolta non rimase tuttavia senza effetti. Da un lato, essa mostrò la persistenza di un nazionalismo cinese che rendeva impraticabile una spartizione politica dell'Impero. Dall'altro, la sconfitta del nazionalismo tradizionalista preparò il terreno alla nascita di un movimento di ispirazione democratica e "occidentalizzante", che avrebbe cercato di collegare la lotta contro gli stranieri a quella per la modernizzazione del paese.
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