32.2 Le forze in campo
Le forze politiche che si candidavano alla guida del paese all'indomani della liberazione erano, con poche varianti, le stesse che erano state protagoniste della lotta politica tra la fine della prima guerra mondiale e l'avvento della dittatura. Rispetto ad allora era però profondamente mutata la situazione interna e internazionale in cui quei partiti si trovavano a operare; e, fino a nuove libere elezioni, era impossibile conoscere i reciproci rapporti di forza. Il ritorno alla dialettica democratica si era accompagnato a un'impetuosa crescita della partecipazione politica: gli iscritti ai partiti più forti si misuravano ormai in centinaia di migliaia, anziché in decine di migliaia come in età prefascista. Era dunque convinzione comune che il dopoguerra avrebbe visto in primo piano i partiti organizzati su basi di massa, soprattutto quelli della sinistra operaia.
In particolare il Partito socialista - che portava allora il nome di Psiup, assunto nel '43 - pareva destinato ad assumere un ruolo da protagonista. Era guidato da un leader popolare come
Pietro Nenni, godeva di ampie amicizie nella sinistra europea, era riconosciuto dalle potenze vincitrici come una forza sicuramente democratica. Il gruppo dirigente era però tutt'altro che compatto, diviso ancora una volta fra le spinte rivoluzionarie, che lo portavano a mantenere uno stretto legame coi comunisti, e il richiamo alla tradizione riformista, che lo spingeva ad assumere una posizione intermedia, quasi di cerniera fra il Pci e i partiti borghesi. Giocava inoltre a sfavore del Psiup il ruolo non di primo piano svolto nella lotta clandestina e poi nella resistenza armata al nazifascismo.
Al contrario, il Partito comunista traeva nuova forza e credibilità proprio dal contributo offerto alla lotta antifascista e su questo fondava i suoi titoli di legittimità per presentarsi come forza "nazionale" e di governo. Il partito nuovo che Togliatti aveva cercato di costruire dopo la "svolta di Salerno" (
29.12) era molto diverso dal piccolo e intransigente partito leninista nato a Livorno nel 1921. Era anzitutto un autentico partito di massa (vantava infatti un milione di iscritti già nell'estate '45, 1.700.000 un anno dopo), che tendeva ad allargare l'area dei suoi consensi al di là della tradizionale base operaia, verso i contadini, i ceti medi e soprattutto gli intellettuali. Era inoltre un partito che, già rappresentato nel governo, mostrava di volersi inserire attivamente nelle istituzioni democratico-parlamentari, senza tuttavia rinnegare il suo legame privilegiato con l'Urss e senza cessare di incarnare le aspettative rivoluzionarie della classe operaia.
Fra gli altri partiti presenti sulla scena politica italiana, l'unico che apparisse in grado di competere con comunisti e socialisti sul piano dell'organizzazione di massa era la Democrazia cristiana. La Dc si richiamava direttamente all'esperienza del Partito popolare di Sturzo, ne ricalcava il programma (ispirato alla dottrina sociale cattolica e dunque avverso alla lotta di classe, rispettoso del diritto di proprietà ma aperto alle istanze di riforma) e ne ereditava la base contadina e piccolo-borghese. Anche il gruppo dirigente, a cominciare dal segretario Alcide De Gasperi, veniva in buona parte da quel partito, ma era stato rafforzato dall'afflusso delle nuove leve cresciute politicamente durante il ventennio nelle file dell'Azione cattolica. Rispetto al Partito popolare, la Dc godeva inoltre di un più esplicito e massiccio appoggio da parte della Chiesa. In virtù di questo appoggio - e della posizione centrale occupata nello schieramento politico - la Democrazia cristiana si presentava come il principale perno del fronte moderato: anche perché le formazioni tradizionali di area liberal-democratica apparivano del tutto inadeguate a fronteggiare la spinta dei partiti di massa.
Il Partito liberale, che raccoglieva fra le sue file gran parte della classe dirigente prefascista, poteva contare su una serie di adesioni illustri (come quelle di Luigi Einaudi e Benedetto Croce), oltre che sul sostegno della grande industria e dei proprietari terrieri. Ma il rapporto fra i leader e la loro base elettorale - un rapporto di tipo personale e clientelare, già in crisi nel primo dopoguerra - era ormai definitivamente compromesso.
Fra i partiti laici, il Partito repubblicano si distingueva per l'intransigenza sulla questione istituzionale (aveva infatti respinto ogni compromesso con la monarchia, rifiutando persino di partecipare ai Cln). In una posizione particolare, al confine fra l'area liberal-democratica e quella socialista, si collocava il Partito d'azione. Forte del prestigio che gli veniva dall'adesione di molti leader dell'antifascismo (Parri, Lussu, Valiani) e di molti intellettuali - e più ancora del notevole contributo dato dai suoi militanti alla lotta partigiana - il Pda si presentava come una forza nuova e moderna e si faceva promotore di ampie riforme sociali e istituzionali: nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, riforma agraria, massimo sviluppo delle autonomie locali. Il partito era però privo di una base di massa e faticava a trovare una sua identità, diviso com'era fra un'ala socialista e un'ala liberal-democratica. Un contrasto che avrebbe accompagnato il partito lungo tutto il breve arco della sua vita e lo avrebbe portato di lì a poco a una scissione (febbraio 1946) e al successivo scioglimento.
Quanto alla destra vera e propria, essa appariva politicamente fuori gioco nel clima del dopo-liberazione. Ma era ancora forte, soprattutto nel Mezzogiorno, e tendeva a diventarlo sempre più con l'accentuarsi delle insofferenze nei confronti del nuovo assetto politico e dei timori provocati dalle misure di epurazione annunciate a carico degli aderenti al passato regime. Assente ancora un movimento neofascista organizzato (solo nel dicembre '46 si costituì il Msi, Movimento sociale italiano), i gruppi di destra andarono in parte a ingrossare le file della Dc e del Pli, in parte si raccolsero sotto le bandiere monarchiche e in parte contribuirono all'affermazione, clamorosa ma effimera, di un nuovo movimento: L'Uomo qualunque.
Fondato nel novembre '45 dal commediografo Guglielmo Giannini sull'onda del successo ottenuto dall'omonimo giornale (che si stampava a Roma dalla fine del '44), il movimento qualunquista rifiutava qualsiasi caratterizzazione ideologica e si limitava ad assumere le difese del cittadino medio - l'"Uomo qualunque", appunto - che, dopo essere stato oppresso dalla dittatura fascista, era ora minacciato - si sosteneva - dalla dittatura non meno soffocante dei partiti del Cln. Con i suoi slogan pittoreschi, l'"Uomo qualunque" riscosse notevoli consensi, soprattutto presso la piccola e media borghesia del Centro-sud, spaventata dall'avanzata delle sinistre. Già a partire dal '47, tuttavia, il fenomeno qualunquista cominciò a sgonfiarsi, soprattutto per la confluenza dell'opinione pubblica moderata attorno alla Democrazia cristiana.
Se i partiti si erano affermati, fin dal periodo della Resistenza, come i veri protagonisti della vita politica nell'Italia libera, un ruolo importante, non solo sul piano economico, fu svolto anche dalla Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil), ricostituita su basi unitarie, nel giugno '44, nella Roma ancora occupata dai tedeschi. Le tre componenti - socialista, comunista e cattolica - erano rappresentate pariteticamente negli organi dirigenti, ma erano molto squilibrate fra loro come peso numerico (i comunisti erano di gran lunga i più forti, i cattolici nettamente i più deboli, soprattutto fra le categorie operaie). La loro convivenza non fu sempre facile e richiese un incessante lavoro di mediazione politica. La Cgil riuscì tuttavia, nel quadro di una linea complessivamente "moderata", a realizzare alcune importanti e durevoli conquiste normative: il riconoscimento delle commissioni interne, che rappresentavano il sindacato all'interno delle aziende; l'introduzione di un meccanismo di scala mobile per l'adeguamento automatico dei salari al costo della vita; una nuova e più rigida disciplina dei licenziamenti; un maggior egualitarismo retributivo fra i lavoratori delle diverse categorie.
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