23.9 La crisi della Ruhr
Nel gennaio 1923, la Francia e il Belgio, traendo pretesto dalla mancata corresponsione di alcune riparazioni in natura, inviarono truppe nel bacino della Ruhr, la zona più ricca e industrializzata di tutta la Germania. L'azione aveva per scopo ufficiale quello di controllare la consegna dei materiali dovuti, ma il vero obiettivo era spegnere ogni velleità tedesca di sottrarsi al pagamento integrale delle riparazioni. Impossibilitato a reagire militarmente, il governo tedesco incoraggiò la resistenza passiva della popolazione: imprenditori e operai della Ruhr abbandonarono le fabbriche rifiutando ogni collaborazione con gli occupanti. Intanto gruppi clandestini formati per lo più da membri dei disciolti "corpi franchi" organizzarono attentati e sabotaggi contro i franco-belgi che reagirono con fucilazioni e arresti in massa.
Per le già dissestate finanze tedesche l'occupazione della Ruhr rappresentò il definitivo tracollo, in quanto privava il paese di una parte delle sue risorse produttive e contemporaneamente costringeva il governo a nuove ingenti spese per finanziare la resistenza passiva nella Ruhr con sussidi alle imprese e ai lavoratori disoccupati. Il marco, abbandonato al suo destino, precipitò a livelli impensabili (5 milioni di marchi per un dollaro in luglio, 200 miliardi in settembre, 4000 miliardi in novembre) e il suo potere d'acquisto fu praticamente annullato: un chilo di pane giunse a costare 400 miliardi, un chilo di burro 5000. Le conseguenze di questa polverizzazione della moneta furono sconvolgenti. Lo Stato stampava banconote in quantità sempre maggiore e con valore nominale sempre più alto (un milione, un miliardo, cento miliardi e così via). Ma chi riceveva in pagamento denaro svalutato si affrettava a liberarsene in cambio di qualsiasi cosa, aumentando così la velocità di circolazione della moneta e alimentando ulteriormente l'inflazione. Chi possedeva risparmi in denaro o in titoli di Stato perse tutto. Chi viveva del proprio stipendio dovette affrontare grossi sacrifici: le retribuzioni venivano infatti continuamente adeguate (si giunse a pagarle giornalmente), ma mai abbastanza da poter tener dietro al ritmo dell'inflazione. Furono invece avvantaggiati i possessori di beni reali (agricoltori, industriali, commercianti) e tutti coloro che avevano contratto debiti. Doppiamente avvantaggiati furono gli industriali che producevano per l'esportazione (e si facevano pagare in valuta straniera): nell'anno della grande inflazione l'industria tedesca riuscì a conquistare nuovi mercati e ad aumentare profitti e investimenti, ponendo le basi per l'espansione degli anni successivi. Il prezzo pagato dalla collettività fu tuttavia altissimo. E altrettanto grave fu il danno per le istituzioni repubblicane.
Nel momento più drammatico della crisi la classe dirigente trovò però la forza di reagire. Nell'agosto 1923 si formò un governo di "grande coalizione" comprendente tutti i gruppi "costituzionali" (dai tedesco-popolari alla Spd) e presieduto da
Gustav Stresemann. Leader del Partito tedesco-popolare (considerato il portavoce della grande industria), con alle spalle un passato di nazionalista intransigente, Stresemann era tuttavia convinto che la rinascita della Germania sarebbe stata possibile solo attraverso accordi con le potenze vincitrici. In settembre, fra le proteste della destra, il governo ordinò la fine della resistenza passiva nella Ruhr e riallacciò i contatti con la Francia. Subito dopo decretò lo stato di emergenza e se ne servì per sciogliere i governi regionali della Sassonia e della Turingia (dove erano al potere comunisti e socialdemocratici di sinistra), per reprimere un'insurrezione comunista ad Amburgo, ma anche per fronteggiare la ribellione della destra nazionalista che aveva il suo centro in Baviera. A Monaco, nella notte fra l'8 e il 9 novembre 1923, alcune migliaia di aderenti al Partito nazionalsocialista e ad altre formazioni paramilitari cercarono di organizzare un'insurrezione contro il governo centrale. Ma il complotto, capeggiato da Hitler e dal generale Ludendorff, non ottenne lo sperato appoggio dei militari e delle autorità locali e fu rapidamente represso. Hitler fu condannato a cinque anni di carcere (poi in buona parte condonati) e la sua carriera politica parve precocemente conclusa.
Ristabilita l'autorità dello Stato, il governo cercò di porre rimedio al caos economico. Nell'ottobre '23 fu emessa una nuova moneta, il cosiddetto Rentenmark (marco di rendita) il cui valore era garantito dal patrimonio agricolo e industriale della Germania: lo Stato tedesco si comportava cioè come un privato che impegni tutti i suoi averi per garantirsi un credito. Nel contempo fu avviata una politica rigorosamente deflazionistica (basata cioè sulla limitazione del credito e della spesa pubblica e sull'aumento delle imposte) che costò ai tedeschi ulteriori sacrifici, ma consentì un graduale ritorno alla normalità monetaria.
Una vera stabilizzazione sarebbe stata tuttavia impossibile senza un accordo con i vincitori sulle riparazioni. L'accordo fu trovato, all'inizio del 1924, sulla base di un piano elaborato da un finanziere e uomo politico statunitense, Charles G. Dawes. Il piano si basava sul principio che la Germania avrebbe potuto far fronte ai suoi impegni solo se fosse stata messa in grado di far funzionare al meglio la sua macchina produttiva: prevedeva quindi che l'entità delle rate da pagare fosse graduata nel tempo e che la finanza internazionale, in particolare quella statunitense, sovvenzionasse lo Stato tedesco con una serie di prestiti a lunga scadenza. La Germania rientrava così in possesso della Ruhr, vedeva temporaneamente alleviato l'onere dei suoi debiti e soprattutto otteneva un massiccio aiuto per la sua ripresa economica, che fu in effetti pronta e consistente: in poco tempo l'industria tedesca tornò ai primi posti nel mondo per volume di produzione.
La crisi della Ruhr e la grande inflazione del '23 avevano però lasciato segni profondi nella società tedesca e aggravato i mali cronici di cui soffriva la Repubblica di Weimar. La grande coalizione guidata da Stresemann si ruppe già alla fine del '23. Le elezioni del maggio '24 videro un calo dei partiti democratici e una parallela avanzata delle due estreme (comunisti e tedesco-nazionali) che avevano impostato la loro campagna sul rifiuto del piano Dawes. Un anno dopo (marzo 1925), nelle elezioni presidenziali convocate per eleggere il successore di Ebert, il cattolico Wilhelm Marx, sostenuto da tutti i partiti democratici ma non dai comunisti, fu battuto di stretta misura dal vecchio maresciallo
Hindenburg, già capo dell'esercito e simbolo vivente del passato imperiale.
Negli anni successivi tuttavia, grazie anche alla ripresa economica, la situazione politica si andò stabilizzando. I partiti di centro e di centro-destra mantennero il potere fino al 1928, quando i socialdemocratici ottennero una buona affermazione elettorale e riassunsero la guida del governo. Stresemann conservò ininterrottamente fino alla sua morte (luglio 1929) la carica di ministro degli Esteri, assicurando così la continuità di quella linea di collaborazione con le potenze vincitrici che era stata inaugurata in piena crisi della Ruhr e che costituì il cardine principale dell'equilibrio europeo nella seconda metà degli anni '20.
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