32.9 Gli anni del centrismo
I cinque anni della prima legislatura repubblicana (1948-53) segnarono il periodo di massima egemonia della Democrazia cristiana sulla vita politica nazionale. Nonostante potesse contare sulla maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, la Dc continuò a puntare sull'alleanza coi partiti laici minori; appoggiò la candidatura alla presidenza della Repubblica del liberale
Luigi Einaudi, eletto nel maggio 1948; associò ai suoi governi, sempre presieduti da De Gasperi, rappresentanti del Pli, del Pri e del Psdi. Fu questa la formula del centrismo, che vedeva una Dc molto forte occupare il centro dello schieramento politico, lasciando fuori della maggioranza sia la sinistra social-comunista, sia l'estrema destra monarchica e neofascista. Componente essenziale della politica centrista era una moderata dose di riformismo che, senza troppo sconvolgere gli equilibri sociali, conservasse al governo il consenso delle masse popolari, soprattutto dei contadini.
Da questo punto di vista, l'iniziativa più importante del periodo centrista fu la riforma agraria, attuata fra il maggio e il dicembre 1950, che fissava norme per l'esproprio e il frazionamento di una parte delle grandi proprietà terriere. La riforma costituiva il primo tentativo di profonda modifica dell'assetto fondiario mai attuato nella storia dell'Italia unita; dava un duro colpo al potere della grande proprietà assenteista; e andava incontro alle attese delle masse rurali del Centro-sud, protagoniste, ancora alla fine degli anni '40, di alcuni drammatici episodi di lotta per la terra. Se lo scopo immediato della riforma era quello di rimuovere una causa di scontento e di protesta sociale, l'obiettivo più a lungo termine stava nell'incrementare la piccola impresa agricola: nel rafforzare quindi il ceto dei contadini indipendenti, tradizionalmente considerato una garanzia di ordine e di stabilità sociale e largamente egemonizzato dalla Dc attraverso la potente Confederazione dei coltivatori diretti (o Coldiretti, che organizzava, all'inizio degli anni '50, oltre un milione di famiglie contadine). Questo obiettivo doveva però rivelarsi illusorio e anacronistico. Le nuove piccole aziende agricole si dimostrarono per lo più poco vitali. E la riforma non servì a contenere quel fenomeno di migrazione dalle campagne che, cominciato all'inizio degli anni '50 in coincidenza coi primi segni di ripresa industriale, avrebbe poi assunto proporzioni imponenti alla fine del decennio.
Nell'agosto 1950, contemporaneamente alla riforma agraria, fu varata un'altra legge, non meno ambiziosa negli obiettivi e certamente più moderna nella concezione: quella che istituiva la Cassa per il Mezzogiorno, un nuovo ente pubblico che aveva lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e civile delle regioni meridionali attraverso il finanziamento statale per le infrastrutture (strade, acquedotti, centrali elettriche, ecc.) e il credito agevolato alle industrie localizzate nelle aree depresse. L'impegno fu in effetti imponente (1.500 miliardi nei primi dieci anni) e si prolungò per oltre un trentennio (la Cassa è stata sciolta solo nel 1983). Ma i risultati non corrisposero del tutto alle attese. L'ingente iniezione di denaro pubblico, se ebbe indubbi effetti positivi sull'economia meridionale e sul tenore di vita della popolazione, non sempre bastò a mettere in moto un autonomo processo di modernizzazione, né a cambiare i lineamenti della società civile, né a colmare il divario con le regioni del Nord, che stavano intanto conoscendo un impetuoso sviluppo.
Le riforme varate dai governi centristi - accanto a quelle già citate si devono ricordare la legge Fanfani sul finanziamento alle case popolari e la riforma Vanoni, che introduceva per la prima volta l'obbligo della dichiarazione annuale dei redditi - furono duramente avversate dalla destra: gli stessi liberali si ritirarono dal governo nel '50 in quanto contrari alla riforma agraria. D'altro canto le sinistre continuarono a condurre contro i governi De Gasperi un'opposizione dura, in parte fondata sulle divergenze ideologiche, in parte motivata dallo stato di disagio in cui ancora versavano le classi lavoratrici. La politica economica del governo continuava infatti a basarsi sull'austerità finanziaria e sul contenimento dei consumi privati. Nonostante la forte ripresa produttiva iniziata nei primi anni '50, la disoccupazione si mantenne su livelli elevati e i salari restarono bassi.
Di fronte a questo tipo di sviluppo - che faceva ricadere sui lavoratori i costi della ripresa economica - i partiti di sinistra e la Cgil reagirono mobilitando le masse operaie in una serie di scioperi e manifestazioni, che spesso si concludevano in scontri con le forze dell'ordine. A sua volta, il governo, deciso a non lasciarsi condizionare dalla piazza, rispose intensificando l'uso dei mezzi repressivi. Le forze di polizia furono potenziate con la creazione dei reparti celeri (ossia gruppi motorizzati di pronto intervento) impiegati esclusivamente nei servizi di ordine pubblico. Le armi da fuoco furono spesso usate contro i manifestanti, provocando non poche vittime. Prefetti e questori cercarono di limitare la libertà di riunione valendosi di leggi e regolamenti varati in epoca fascista. Comunisti e socialisti furono "schedati" e a volte discriminati negli impieghi pubblici. Il ministro degli Interni Mario Scelba, che tenne quasi ininterrottamente la carica fra il '47 e il '55, divenne, agli occhi dei militanti di sinistra, il simbolo di una politica illiberale e repressiva.
Costretti a fronteggiare la pressione della sinistra e minacciati dall'eventualità di una crescita della destra, De Gasperi e i suoi alleati tentarono, nell'imminenza delle elezioni del '53, di rendere inattaccabile la coalizione centrista attraverso una modifica dei meccanismi elettorali in senso maggioritario. Il sistema scelto fu quello di assegnare il 65% dei seggi alla Camera a quel gruppo di partiti "apparentati" (ossia uniti da una preventiva dichiarazione di alleanza) che ottenesse almeno la metà più uno dei voti. Dal momento che né l'opposizione di sinistra né quella di destra potevano aspirare a raggiungere un simile risultato, il sistema sembrava costruito su misura per la maggioranza. Di qui le violente polemiche che accompagnarono la discussione in Parlamento della nuova legge elettorale, ribattezzata dalle sinistre legge truffa. La legge fu approvata nel marzo '53, dopo una durissima battaglia parlamentare. Ma nelle elezioni, che si tennero in giugno, la coalizione di governo fu sorprendentemente sconfitta: sia la Dc sia i suoi alleati persero voti rispetto al '48 (mentre ne guadagnarono le sinistre e, in misura maggiore, la destra monarchica e neofascista), mancando per poche decine di migliaia di voti l'obiettivo del 50%. La "legge truffa" non scattò e la Dc di De Gasperi dovette registrare la sua prima sconfitta.
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