25.9 La scienza e la guerra
Il boom dei mezzi di comunicazione di massa non fu il solo risultato saliente dell'evoluzione tecnologica e scientifica negli anni fra le due guerre mondiali. In questo periodo l'onda lunga della rivoluzione della scienza applicata, cominciata negli ultimi decenni dell'800, e accelerata in forme spesso esasperate dal primo conflitto mondiale, continuò a far sentire i suoi effetti sulla vita quotidiana e sulla salute, sulle attività di pace e sullo sviluppo dei mezzi bellici. Risalgono agli anni '20 e '30 alcune scoperte che avrebbero segnato in modo decisivo la storia del nostro secolo, dando la misura del potere sconfinato della scienza moderna, della contraddittorietà dei suoi esiti, del suo carattere sempre meno "neutrale".
In questi anni un folto gruppo di fisici di diversi paesi, quasi tutti nati dopo l'inizio del secolo (l'italiano Fermi, gli inglesi Dirac e Chadwick, i francesi Joliot e De Broglie, i tedeschi Schrödinger e Heisenberg per citarne solo alcuni) portò avanti gli studi e gli esperimenti sul nucleo dell'atomo avviati all'inizio del '900 da Rutherford e da Bohr. Si trattava di ricerche essenzialmente teoriche, che assunsero però un'immediata risonanza anche al di fuori degli ambienti scientifici quando, alla fine degli anni '30, si scoprì che dalla scissione, provocata artificialmente, di un nucleo atomico di materiale radioattivo era possibile liberare enormi quantità di energia. Molti intuirono allora che da questa nuova straordinaria fonte di energia sarebbe stato possibile ottenere un'arma più potente di qualsiasi altra fin allora realizzata. Ma soltanto nel 1942, quando, a conflitto mondiale già in corso, una équipe di scienziati americani guidata da Enrico Fermi realizzò il primo reattore nucleare, lo spettro della "guerra atomica" si materializzò minacciosamente, inducendo i due schieramenti in lotta a un'affannosa e segretissima corsa verso la costruzione della nuova bomba.
Se i possibili impieghi bellici della fisica nucleare restarono per molto tempo sconosciuti ai più, nessuno poteva ignorare il nesso strettissimo che intercorreva fra le caratteristiche della guerra futura e gli sviluppi della tecnica aviatoria. Negli anni '20 e '30 l'aeronautica compì in tutti i paesi industrializzati progressi notevoli: gli aerei divennero più sicuri e più rapidi (i mezzi più veloci toccavano punte di 7-800 chilometri orari), aumentando nel contempo la loro capacità di carico e la loro autonomia. Imprese come la trasvolata solitaria dell'americano Charles Lindbergh, che nel 1927 compì per primo su un piccolo aereo il volo senza scalo da New York a Parigi, o come le grandi crociere transatlantiche compiute da Italo Balbo nel 1930-31 al comando di una squadriglia di idrovolanti, valsero a esaltare agli occhi dell'opinione pubblica mondiale le nuove possibilità offerte dal trasporto aereo. L'aviazione civile, dopo i primi timidi passi negli anni '20, conobbe nel decennio successivo un considerevole incremento (soprattutto negli Stati Uniti), pur restando, a causa dei suoi alti costi, un servizio accessibile solo alle categorie privilegiate.
I progressi dell'aviazione civile furono però superati dai contemporanei e più consistenti sviluppi dell'aeronautica militare, che assorbiva allora - contrariamente a quanto avviene ai nostri giorni - la maggior parte della produzione del settore. Dopo aver accolto con scetticismo e diffidenza i primi impieghi bellici dell'aviazione, generali e uomini di governo finirono col convincersi che un'arma aerea, autonoma dall'esercito e dalla marina, era destinata a svolgere un ruolo decisivo. Tutte le grandi e medie potenze intensificarono, dall'inizio degli anni '30, la costruzione di aerei militari: aerei da caccia sempre più veloci, aerei da trasporto sempre più capienti, bombardieri dotati di sempre maggiore autonomia. L'ipotesi di una guerra in cui i contendenti si combattessero spargendo il terrore fra le popolazioni civili diventava ormai una tragica certezza.
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