35.14 Sommario
Nei paesi occidentali si è manifestata nei tardi anni '70 una crisi delle ideologie di sinistra, sia riformiste sia rivoluzionarie, e la tendenza all'abbandono dell'impegno politico per un ritorno al privato o ai valori tradizionali (il cosiddetto "riflusso"). Nello stesso periodo è esploso il fenomeno del terrorismo politico.
L'approfondirsi del divario fra paesi ricchi e paesi poveri (Nord e Sud) rappresenta uno dei maggiori problemi del mondo contemporaneo. Se, tra i paesi del Terzo Mondo, alcuni hanno migliorato la loro posizione (per esempio quelli produttori di petrolio o quelli che sono riusciti ad avviare un processo di industrializzazione), molti altri, soprattutto nell'Africa centrale, si trovano di fronte a problemi alimentari drammatici.
In America Latina gli anni '70 e '80 hanno visto prima la massima espansione delle dittature militari (come quelle affermatesi in Cile nel '73 e in Argentina nel '76), poi il graduale ritorno alla democrazia politica. Il processo di democratizzazione è però difficile e ostacolato quasi ovunque da gravi problemi economici.
Il Medio Oriente è stato teatro di due successive guerre - la "guerra dei sei giorni" del '67 e la "guerra del Kippur" del '73 - fra arabi e israeliani. La pace fra Egitto e Israele ('79) non è servita a riportare la pace nella regione e ha lasciato irrisolto il problema palestinese. I riflessi della crisi si sono fatti sentire anche nel Libano, sconvolto da una crudele guerra civile. In Iran, nel '79, una rivoluzione ha portato alla caduta del regime dello scià e alla nascita di un regime integralista islamico guidato da Khomeini. Il nuovo regime, violentemente antioccidentale, è entrato subito in contrasto con gli Stati Uniti ed è stato coinvolto in una lunga e sanguinosa guerra con l'Iraq (1980-88).
Il Sud Est asiatico, dopo la partenza degli americani, ha visto l'esplodere di conflitti fra paesi comunisti. Nel '78, dopo essere stata teatro del sanguinoso esperimento rivoluzionario di Pol Pot, la Cambogia è stata invasa dal Vietnam.
In Cina l'ascesa di Deng Xiaoping ha portato a un processo di riforme interne e liberalizzazione economica: processo interrottosi nell'89, in seguito alla repressione della protesta studentesca a Pechino.
Il Giappone è stato protagonista, nel secondo dopoguerra, di un "miracolo economico" che lo ha portato a diventare la seconda potenza industriale e finanziaria del mondo.
Sul piano dell'economia, l'Europa ha perso terreno, negli anni '70 e '80, rispetto a Usa e Giappone, e il processo di unificazione non ha fatto grandi passi avanti. Sul piano politico le principali novità sono state: la vittoria dei conservatori di Margaret Thatcher in Gran Bretagna; il ritorno al potere dei cristiano-democratici in Germania federale; la vittoria del socialista Mitterrand in Francia; il ritorno alla democrazia di Portogallo, Grecia e Spagna (entrati poi a far parte della Cee).
Dopo un periodo di incertezza politica ed economica, gli Stati Uniti hanno inaugurato, con la presidenza di Reagan (1980-88) e poi di Bush, un nuovo corso basato sulla scelta liberista in economia e su una politica estera più dura nei confronti dell'Urss e dei paesi integralisti del Medio Oriente (Iran, Libia).
Negli ultimi anni dell'età di Breznev, l'Urss, pur non avendo risolto i suoi problemi interni, ha allargato la sua sfera di influenza mondiale. Particolarmente costoso, anche da un punto di vista umano, è stato l'intervento militare in Afghanistan ('79). Con l'avvento di Gorbačëv (1985), è stata avviata una radicale svolta sia in politica estera sia in politica interna (riforme economiche e istituzionali, maggior libertà di informazione): svolta che ha suscitato però non poche difficoltà all'interno dell'Urss. In seguito a una serie di incontri fra i leader sovietici e statunitensi, si è instaurato, dopo l'85, un nuovo clima di distensione internazionale che ha consentito alcuni accordi fra le superpotenze sulla limitazione degli armamenti e si è riflesso positivamente anche sulle prospettive di soluzione dei conflitti locali.
I mutamenti in Urss hanno avuto immediati riflessi sui paesi dell'Europa orientale, provocando la crisi dell'intero blocco comunista. Processi di liberalizzazione sono stati avviati prima in Polonia (dove già all'inizio degli anni '80 si era affermato il sindacato indipendente "Solidarnosc") e in Ungheria, poi in Germania orientale, Cecoslovacchia, Bulgaria e Romania (l'unico paese in cui il trapasso di regime è avvenuto in forma violenta). Mentre in Romania e in Bulgaria i gruppi "neocomunisti" sono riusciti a mantenere il potere, negli altri Stati i partiti comunisti sono stati completamente travolti. Nella Repubblica democratica tedesca la vittoria dei cristiano-democratici ha aperto la strada alla riunificazione con la Repubblica federale, che è stata portata a termine nell'ottobre 1990.
La distensione internazionale ha potuto impedire lo scoppio di una gravissima crisi nell'area mediorientale: crisi originata dall'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq di Saddam Hussein, che ha provocato la risposta militare degli Stati Uniti e di numerosi altri paesi, in base a un deliberato dell'Onu.
All'inizio degli anni '90, l'Europa ex comunista ha dovuto attraversare momenti difficili, dal punto di vista economico e politico. La Jugoslavia è diventata nel '91 teatro di una guerra fra le diverse nazionalità. In Unione Sovietica, sempre nel '91, un tentativo fallito di colpo di Stato ha determinato il crollo definitivo del sistema comunista, ma ha anche accelerato la crisi del potere centrale e la disgregazione dell'Urss.
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