32.10 Alla ricerca di nuovi equilibri
Fallito, con le elezioni del '53, il tentativo di stabilizzare la coalizione centrista, cominciò una lunga fase di transizione e di ricerca di nuovi equilibri politici. Il paese cominciava, sia pur lentamente, a modernizzarsi. La ripresa economica si consolidava. E si rafforzavano di pari passo - grazie alla completa liberalizzazione degli scambi con l'estero attuata negli anni precedenti dal ministro repubblicano Ugo La Malfa - i legami con l'Europa più avanzata: legami che sarebbero poi stati ribaditi, nel marzo 1957, dall'adesione italiana al Mercato comune europeo (
30.12). In alcuni settori politici legati alla sinistra Dc o ai partiti laici si avvertiva l'esigenza di un allargamento verso sinistra dell'area di maggioranza, di una spinta riformatrice che interpretasse le trasformazioni della società.
Tuttavia, sino alla fine degli anni '50, questo fermento non si tradusse in una modifica degli equilibri di governo. Dimessosi De Gasperi nel luglio '53 in seguito a un voto contrario della Camera, i successivi governi a guida democristiana continuarono ad appoggiarsi sulla vecchia maggioranza quadripartita, addirittura rafforzata in qualche caso dall'apporto di voti monarchici e neofascisti. Frattanto, però, significative novità andavano maturando nelle istituzioni e nel governo dell'economia. Nell'estate 1955 fu presentato in Parlamento il cosiddetto piano Vanoni (dal nome dell'allora ministro del Bilancio), che rappresentava il primo e ancor timido tentativo di programmazione economica mai sperimentato fin allora in Italia. Nel dicembre '56 fu creato il ministero delle Partecipazioni statali, col compito di coordinare l'attività delle aziende di Stato: era il segno di un nuovo rilievo assunto dagli enti a partecipazione statale (soprattutto l'Iri e l'Eni, Ente nazionale idrocarburi, fondato nel '53) e anche di una nuova volontà del potere politico, in particolare della Dc, di intervenire più incisivamente nella gestione dell'economia. Ma la novità più importante di questi anni, sul piano delle istituzioni, fu l'insediamento, nell'aprile '56, della Corte costituzionale. Composta in parte da magistrati e in parte da membri nominati dal Parlamento e dal presidente della Repubblica, la Corte avrebbe svolto una funzione importante e fortemente progressiva nell'adeguare la vecchia legislazione ai princìpi costituzionali e nel far cadere alcune fra le norme più anacronistiche varate in periodo fascista.
Gli anni della seconda legislatura repubblicana (1953-58) portarono parecchi cambiamenti anche all'interno dei partiti più importanti. Nella Dc le elezioni del '53 segnarono non solo la sconfitta politica di De Gasperi, che morì nell'estate dell'anno seguente, ma anche la progressiva emarginazione del gruppo dirigente degasperiano e l'emergere della nuova generazione formatasi nell'Azione cattolica degli anni '20 e '30. Questa generazione, più legata alle problematiche del cattolicesimo sociale, era favorevole all'intervento statale nell'economia e critica nei confronti dell'impostazione liberista che aveva ispirato le scelte dei governi postbellici. Esponenti principali di questa generazione erano Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Mariano Rumor e soprattutto
Amintore Fanfani. Diventato nel '54 segretario della Dc, Fanfani cercò di rafforzarne la struttura organizzativa e di svincolare il partito dai condizionamenti della Confindustria, collegandolo più strettamente all'emergente industria di Stato: in particolare all'Eni di Enrico Mattei, un abile e dinamico manager che esercitò in questi anni una notevole influenza sul mondo politico e sulla stampa. Questa scelta contribuì certamente a svecchiare la Dc e tutta la politica italiana. Ma creò le premesse per quell'intreccio fra potere partitico ed economia pubblica che sarebbe stato poi all'origine di gravi degenerazioni. Sul piano delle alleanze di governo, la Dc di Fanfani non mutò, all'inizio, la linea centrista di De Gasperi. Ma, soprattutto dopo le elezioni presidenziali del 1955 - che videro la vittoria di
Giovanni Gronchi, democristiano di sinistra, sostenuto, contro le indicazioni della segreteria, da una parte della Dc e appoggiato da socialisti e comunisti - si manifestò nel partito una maggior consapevolezza della fragilità della coalizione quadripartita e una nuova attenzione a quanto stava cambiando nella sinistra: in particolare nel Partito socialista, interlocutore obbligato per ogni ipotesi di allargamento a sinistra della maggioranza.
Già negli anni '54-'55, il Psi aveva iniziato una cauta revisione della politica "frontista", aveva allentato i legami col Pci e auspicato l'aprirsi di un "dialogo" con i cattolici. Una forte accelerazione al processo di autonomia fu impressa dai fatti del 1956. La denuncia dei crimini di Stalin al XX congresso del Partito comunista sovietico e l'invasione sovietica dell'Ungheria (
30.11) costituirono un trauma per tutti i militanti di sinistra. Ma, mentre il Pci, pur accettando la critica delle degenerazioni staliniane e riservandosi una certa autonomia rispetto all'Urss (fu allora che Togliatti parlò di "vie nazionali al socialismo"), si mantenne sostanzialmente fedele al modello sovietico, il Psi se ne distaccò in modo definitivo. Fu lo stesso Nenni, leader del partito negli anni del "frontismo", a guidare la svolta autonomista. Il Psi non rinunciava alla prospettiva di una radicale trasformazione della società, ma accettava senza riserve le istituzioni liberal-democratiche e si dichiarava disposto a collaborare a una politica di riforme. Questa nuova linea fu premiata dall'elettorato. Nelle elezioni del 1958, il Psi registrò un netto progresso, pur restando a notevole distanza dalla Dc (in recupero rispetto al '53) e dal Pci, che mantenne le sue posizioni mostrando di aver ben assorbito il trauma del '56. A questo punto le premesse politiche per l'apertura a sinistra c'erano tutte. Né mancavano i margini economici per una politica di riforme, dato che il paese stava cominciando a vivere il più rapido boom industriale della sua storia.
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