34.6 La critica alla civiltà dei consumi
Gli sviluppi della civiltà dei consumi posero una serie di problemi nuovi alla cultura occidentale e contribuirono a mutare il ruolo e la posizione degli intellettuali. Da un lato, le trasformazioni della società e del costume favorirono, soprattutto nei paesi anglosassoni, l'affermazione delle scienze umane, come la sociologia, la scienza politica, la psicologia (in particolare la psicanalisi, diventata in questo periodo una componente essenziale della stessa cultura di massa nei paesi industrializzati) e la stessa economia: queste discipline erano considerate gli strumenti più adatti per capire la nuova realtà e, in una certa misura, anche per accettarla.
Dall'altro lato, si assisté, a partire dagli anni '60, a una sorta di rifiuto ideologico nei confronti di una società accusata di sostituire allo sfruttamento economico di tipo tradizionale una forma più subdola e raffinata di dominio (esercitata soprattutto attraverso la pubblicità e i mass media), di sottoporre gli individui a una nuova tirannia tecnologica, di sopire i conflitti sociali con la diffusione di un benessere che si giudicava illusorio (e si riteneva comunque ottenuto a spese dei popoli poveri del Terzo Mondo).
Questa reazione si espresse in primo luogo in una ripresa delle ideologie rivoluzionarie di matrice marxista, che peraltro avevano conservato, anche negli anni della guerra fredda, una forte influenza sugli intellettuali, soprattutto in Italia e in Francia. Ma non mancarono i tentativi di innestare sulla base teorica del marxismo i risultati delle nuove scienze sociali. Significativa fu la fortuna incontrata in questo periodo da quel filone di pensiero, formatosi nella Germania di Weimar e poi trapiantato negli Stati Uniti dopo l'avvento del nazismo, che aveva il suo nucleo originario nella cosiddetta scuola di Francoforte (Francoforte era stata la sede dell'Istituto per la ricerca sociale, fondato nel 1923 e diretto da Max Horkheimer) e che si era applicato fin dall'inizio all'analisi e alla critica della società di massa.
Un successo tutto particolare, soprattutto fra i giovani, toccò, nella seconda metà degli anni '60, alle opere di Herbert Marcuse, seguace della scuola di Francoforte emigrato negli Usa. Alla critica della società opulenta, del consumismo, dell'etica borghese del successo, Marcuse univa un giudizio pessimistico sulle capacità rivoluzionarie di una classe operaia ormai "integrata" nel sistema: le residue speranze di trasformazione erano affidate agli emarginati delle metropoli moderne e soprattutto ai popoli del Terzo Mondo non ancora toccati dall'industrialismo. La critica alla società dei consumi si congiungeva così alla diffusione delle tendenze "terzomondiste" nel fornire una base teorica a quei fenomeni di diffuso ribellismo, soprattutto giovanile, che percorsero i paesi industrializzati nella seconda metà degli anni '60.
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