33.2 Kennedy e Kruscёv: la crisi dei missili e la distensione
Nel novembre 1960, scaduto il secondo mandato di Eisenhower, il candidato democratico
John Fitzgerald Kennedy salì alla presidenza degli Stati Uniti. Proveniente da una ricca famiglia di origine irlandese, Kennedy fu, a 44 anni, il più giovane presidente americano e fu anche il primo cattolico a entrare alla Casa Bianca. Assistito da un nutrito gruppo di intellettuali, Kennedy suscitò immediatamente ampi consensi attorno alla sua persona, riallacciandosi, già nel suo discorso di insediamento, alla tradizione progressista di Wilson e Roosevelt e aggiornandola col riferimento a una nuova frontiera, una frontiera non più materiale, come quella dei pionieri dell'800, ma spirituale, culturale e scientifica: "Al di là di questa frontiera si estendono i domini inesplorati della scienza e dello spazio, dei problemi irrisolti della pace e della guerra, delle sacche di ignoranza e di pregiudizi non ancora debellate [...]". In politica interna, lo slancio riformatore kennediano si tradusse in un forte incremento della spesa pubblica, assorbito in parte dai programmi sociali, in parte maggiore dalle esplorazioni spaziali; ma anche nel tentativo, non sempre riuscito, di imporre l'integrazione razziale in quegli Stati del Sud che ancora praticavano forme di discriminazione nei confronti dei neri.
In politica estera, la presidenza Kennedy fu caratterizzata da una linea ambivalente, in cui l'enfasi posta sui temi della pace e della distensione con l'Est si univa a una sostanziale intransigenza sulle questioni ritenute essenziali, a una difesa, anche spregiudicata, degli interessi americani nel mondo. Il primo incontro fra Kennedy e Kruscёv, avvenuto a Vienna nel giugno '61 e dedicato al problema di Berlino Ovest (che gli americani consideravano parte della Germania federale, mentre i sovietici avrebbero voluto trasformarla in "città libera"), si risolse in un fallimento. Gli Stati Uniti riaffermarono il loro impegno in difesa di Berlino Ovest. I sovietici risposero innalzando un muro che separava anche visibilmente le due parti della città e rendeva pressoché impossibili le fughe, fin allora molto frequenti, dall'uno all'altro settore.
Ma in questo periodo il confronto più drammatico fra le due superpotenze ebbe per teatro l'America Latina. All'inizio della sua presidenza, Kennedy tentò di soffocare il regime socialista a Cuba, sia boicottandolo economicamente, sia appoggiando i gruppi di esuli anticastristi che tentarono, nel 1961, una spedizione armata nell'isola. Lo sbarco, che ebbe luogo in una località chiamata Baia dei porci e che, nei progetti americani, avrebbe dovuto suscitare un'insurrezione contro Castro, si risolse però in un totale fallimento e in un gravissimo scacco per l'amministrazione Kennedy. Nella tensione così creatasi si inserì l'Unione Sovietica che non solo offrì ai cubani assistenza economica e militare, ma iniziò l'installazione nell'isola di alcune basi di lancio per missili nucleari. Quando, nell'ottobre 1962, le basi furono scoperte da aerei-spia americani, Kennedy ordinò un blocco navale attorno a Cuba per impedire alle navi sovietiche di raggiungere l'isola. Per sei drammatici giorni (16-21 ottobre) il mondo fu vicino a un conflitto generale. Ma alla fine Kruscёv cedette e acconsentì a smantellare le basi missilistiche in cambio dell'impegno americano ad astenersi da azioni militari contro Cuba.
Il compromesso sulla questione di Cuba, che segnava un netto rafforzamento della posizione degli Usa e del prestigio personale di Kennedy, aprì comunque la strada a una nuova fase di distensione. Nel 1963 Stati Uniti e Unione Sovietica firmarono un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell'atmosfera (continuarono invece quelli sotterranei, meno pericolosi per l'equilibrio ambientale), al quale però non aderirono Cina e Francia, entrambe impegnate nella sperimentazione di un proprio armamento atomico. Nello stesso periodo Usa e Urss si accordarono per l'installazione di una linea diretta di telescriventi (la linea rossa) fra la Casa Bianca e il Cremlino, che serviva a scongiurare il pericolo di una guerra "per errore".
Kruscёv accentuò in questi anni il tono pacifista dei suoi interventi e interpretò il confronto fra i blocchi soprattutto in chiave di competizione economica fra i due sistemi: la "vittoria" sarebbe andata a quello capace di assicurare al popolo il più alto grado di benessere e di giustizia sociale. La sfida lanciata all'Occidente da Kruscёv - che giunse a promettere ai cittadini sovietici il raggiungimento, entro vent'anni, di un livello di vita superiore a quello dei paesi capitalistici più sviluppati - era quanto meno velleitaria. E questo eccesso di ottimismo, destinato di lì a poco a essere smentito dall'andamento tutt'altro che brillante dell'economia sovietica, non fu estraneo all'improvvisa caduta di Kruscёv che, nell'ottobre 1964, fu estromesso da tutte le sue cariche.
Un anno prima era scomparso tragicamente l'altro protagonista della scena internazionale dei primi anni '60. Il 22 novembre 1963, Kennedy fu ucciso a Dallas, nel Texas, in un attentato di cui non si giunse mai a scoprire i mandanti: il primo di una serie di misteriosi omicidi politici (nel '68 furono uccisi Robert Kennedy, probabile candidato democratico alla presidenza e fratello di John, e il pastore negro Martin Luther King, leader del movimento antisegregazionista), che contribuirono a imprimere un segno di inquietante violenza su tutta una fase della storia degli Usa. A Kennedy subentrò - e fu poi rieletto nel '64 - il vicepresidente Lyndon Johnson, un esperto uomo politico di formazione rooseveltiana, che ebbe il merito di tradurre in atto e di ampliare molti progetti di legislazione sociale (assistenza medica, sussidi ai poveri, ecc.) avviati in epoca kennediana e di imprimere una spinta decisiva all'integrazione razziale nel Sud. Johnson finì però, come vedremo più avanti, col legare il suo nome soprattutto all'impopolare e sfortunato impegno americano nella guerra del Vietnam.
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