21.7 La mobilitazione totale e il "fronte interno"
Durante il primo conflitto mondiale, anche le popolazioni civili furono investite - sia pure indirettamente - dallo sforzo bellico e dalle trasformazioni che ad esso si accompagnarono. I mutamenti più vistosi furono quelli che interessarono il mondo dell'economia e in particolare il settore industriale, chiamato ad alimentare la macchina gigantesca degli eserciti al fronte. Le industrie interessate alle forniture belliche (siderurgiche, meccaniche e chimiche in primo luogo) conobbero uno sviluppo imponente, al di fuori di qualsiasi legge di mercato: il cliente principale era infatti lo Stato che, pressato dalle urgenze della guerra, badava soprattutto alla rapidità delle consegne, preoccupandosi poco dei prezzi. Tutto ciò impose una riorganizzazione dell'apparato produttivo e una continua dilatazione dell'intervento statale, che assunse dimensioni incompatibili col modello liberale ottocentesco. Interi settori dell'industria furono posti sotto il controllo dei poteri pubblici, che distribuivano le materie prime a seconda delle necessità e stabilivano quanto e che cosa si dovesse produrre. La manodopera impiegata nell'industria di guerra fu ovunque sottoposta a disciplina militare o semimilitare. Anche la produzione agricola fu assoggettata a un regime di requisizioni e di prezzi controllati. In alcuni casi si giunse al razionamento dei beni di consumo di prima necessità. In Germania - il paese in cui la pianificazione economica raggiunse le forme più spinte - si giunse addirittura a parlare di socialismo di guerra. Ma il sistema era in realtà gestito da organismi paritetici composti da militari e da industriali, i quali trassero dall'economia bellica notevoli vantaggi in termini di profitto e di potere.
Strettamente legate ai mutamenti nell'economia furono le trasformazioni degli apparati statali. Ovunque i governi furono investiti di nuove attribuzioni e dovettero farvi fronte con l'aumento della burocrazia. Ovunque il potere esecutivo si rafforzò a spese degli organismi rappresentativi, poco adatti per loro stessa natura alle esigenze di rapidità e segretezza nelle decisioni imposte dallo stato di guerra. I poteri dei governi erano a loro volta insidiati dall'invadenza dei militari: sottoposti in teoria all'autorità degli organi costituzionali, gli stati maggiori avevano in realtà poteri pressoché assoluti per tutto ciò che riguardava la conduzione della guerra e potevano quindi influenzare pesantemente le scelte dei politici. In realtà, la dittatura militare di fatto vigente in Germania - dove il potere si concentrò nelle mani del capo di stato maggiore Hindenburg e del suo collaboratore Ludendorff - non differiva granché dalla dittatura "giacobina" instaurata in Francia nell'ultimo anno di guerra dal governo di unione nazionale di
Georges Clemenceau o da quella esercitata in Gran Bretagna dal "gabinetto di guerra" di
David Lloyd George. Nell'un caso come negli altri tutti i mezzi - compresa la censura e la sorveglianza sui cittadini sospetti di "disfattismo" - furono usati per combattere i "nemici interni" e per mobilitare la popolazione verso l'obiettivo della vittoria.
Strumento essenziale per la mobilitazione dei cittadini era la propaganda: una propaganda che non si rivolgeva soltanto alle truppe, ma cercava anche di raggiungere in tutti i modi possibili la popolazione civile. I governi di tutti i paesi profusero un impegno senza precedenti per stampare manifesti murali, organizzare manifestazioni di solidarietà ai combattenti, incoraggiare la nascita di comitati e associazioni "per la resistenza interna". Si trattava di mezzi ancora rudimentali, che rivelavano tuttavia la preoccupazione dei governi nel "curare" l'opinione pubblica e nel cercarne l'appoggio: preoccupazione che diventava tanto più forte quanto più crescevano i segni di stanchezza fra i combattenti e la popolazione civile e quanto più si rafforzavano le correnti di opposizione alla guerra.
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