2.5 Interventi militari e repressioni
Le rivoluzioni costituzionali di Spagna e d'Italia furono sentite dai conservatori di tutta Europa come una grave minaccia per l'equilibrio uscito dal congresso di Vienna: equilibrio che, fondandosi sulla affermazione del principio di legittimità e sulla solidarietà fra i sovrani assoluti, mal si conciliava con la diffusione di regimi in cui l'operato dei governi fosse in qualche modo condizionato dalla volontà degli elettori. A preoccuparsi dei nuovi sviluppi era soprattutto l'Austria di Metternich, fulcro e custode principale dell'equilibrio conservatore europeo, e di quello italiano in particolare.
Fu Metternich a chiedere la convocazione di un congresso delle potenze europee - che si tenne a Troppau, in Moravia, nell'autunno del '20 - e a sostenere in tale sede, appellandosi ai princìpi costitutivi della Santa alleanza, la necessità di un intervento armato nel Napoletano. La proposta austriaca fu accolta con qualche perplessità dalle altre potenze. Inglesi e francesi non potevano sottoscrivere una condanna di principio dei regimi liberali. Gli stessi russi, che non avevano certo scrupoli costituzionali, non vedevano di malocchio un indebolimento dell'egemonia austriaca in Italia. La soluzione del problema fu così rinviata a un successivo convegno, che si tenne a Lubiana nel gennaio 1821 e al quale fu invitato lo stesso re delle due Sicilie. Prima di partire, Ferdinando I si impegnò dinanzi al Parlamento a difendere la scelta costituzionale. Ma, una volta a Lubiana, operò un clamoroso voltafaccia, lamentando di aver agito sotto costrizione e invocando l'intervento delle potenze alleate.
La richiesta fu prontamente accolta dall'Austria che, ai primi di marzo, inviò un corpo di spedizione nell'Italia meridionale. La resistenza opposta dal regime liberale napoletano fu debole e inefficace, anche per la defezione di molti moderati che non intendevano ribellarsi apertamente all'autorità del re. Il 23 marzo gli austriaci entrarono a Napoli. Alcuni fra i protagonisti della rivoluzione, come Guglielmo Pepe, riuscirono a riparare all'estero. Altri, come Morelli e Silvati, caddero vittime della dura repressione messa in atto da Ferdinando I.
Anche in Piemonte, la fine del moto costituzionale fu seguita da una raffica di condanne contro i militari ribelli e da un massiccio esodo all'estero di patrioti (fra cui Santarosa). Durissima fu la repressione nel Lombardo- Veneto, dove pure erano mancati degli episodi insurrezionali veri e propri. Vi furono condanne a morte, poi commutate in pene detentive, sia per i capi carbonari sia per i leader dei Federati, fra cui il conte Confalonieri. Contrariamente a quanto accadeva in altri Stati italiani, i processi del Lombardo-Veneto si svolsero nel sostanziale rispetto delle procedure giuridiche. Ma l'entità delle condanne, la durezza della detenzione (gli orrori del carcere boemo dello Spielberg sarebbero stati descritti da Silvio Pellico in un celebre libro di memorie dal titolo Le mie prigioni) e la stessa notorietà di alcuni fra i condannati contribuirono a rafforzare i sentimenti antiaustriaci nell'opinione pubblica italiana ed europea.
Nell'immediato, tuttavia, il fronte conservatore usciva rinsaldato dalla crisi del '20-'21, mentre le forze liberali e democratiche avevano dato prova di scarsa unità, di carenze sul piano dell'organizzazione cospirativa (allarmante era stata la facilità con cui le autorità austriache avevano potuto smantellare la rete delle società segrete nel Lombardo-Veneto) e soprattutto di un'assoluta mancanza di legami con le masse popolari.
Una volta riportato l'ordine in Italia, restava aperto per le potenze conservatrici il problema della Spagna. Alla questione fu dedicato un nuovo congresso degli Stati aderenti alla Santa alleanza, che si tenne a Verona nell'autunno del 1822. A sollecitare un intervento armato in favore dei realisti spagnoli (che avevano scatenato una vera e propria guerra civile contro il regime costituzionale) e ad assumersi il compito di restaurare l'ordine fu questa volta la Francia. Una scelta motivata sia da ragioni di prestigio internazionale (riaffermare la presenza francese nell'area mediterranea, equilibrando il peso dell'egemonia austriaca in Italia), sia da spinte di politica interna. Fra il '20 e il '22, infatti, anche la Francia era stata sfiorata dalla generale ondata rivoluzionaria. Nel febbraio 1820 era stato assassinato da un giacobino il giovane duca di Berry, nipote del re e unico erede maschio dei Borbone di Francia. Successivamente erano stati scoperti e sventati diversi progetti insurrezionali organizzati da militari aderenti alla Carboneria. Per contraccolpo tutto ciò aveva provocato una decisa ripresa della destra legittimista, che aveva riassunto, col ministero Villèle, la guida del governo.
Nell'aprile del '23, un'armata francese appoggiata da reparti di partigiani realisti avanzò in territorio spagnolo, senza che si verificassero fenomeni di sollevazione popolare paragonabili a quelli suscitati, solo pochi anni prima, dall'invasione napoleonica. Al contrario, le masse contadine, influenzate dal clero, rimasero indifferenti, o addirittura ostili, nei confronti del governo costituzionale che, ritiratosi nel Sud del paese, riuscì a resistere fino a ottobre, quando fu espugnata la fortezza del Trocadero, presso Cadice. Di lì a poco, anche in Portogallo, il re metteva bruscamente fine all'esperimento liberale. La sconfitta dei costituzionali fu seguita da una sanguinosa repressione, che raggiunse in Spagna punte di inaudita crudeltà (il colonnello Riego fu impiccato e i pezzi del suo cadavere squartato furono esposti in varie città spagnole): tanto da suscitare proteste anche in campo conservatore e da offuscare non poco il trionfo della causa legittimista.
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