14.7 Motori a scoppio ed elettricità
Se la prima rivoluzione industriale si era fondata essenzialmente su un tipo di macchina, quella a vapore, e su una fonte di energia, il carbon fossile, la seconda fu caratterizzata dall'invenzione del motore a scoppio (o a combustione interna) e dall'utilizzazione sempre più larga dell'elettricità.
Il motore a combustione interna - quello in cui è lo stesso combustibile a fornire la spinta motrice bruciando ed espandendosi in uno spazio limitato - fu il risultato di una lunga serie di studi e di esperimenti che videro impegnati, fin dagli anni '50, scienziati di diversi paesi: gli italiani Barsanti e Matteucci, il francese Lenoir, l'inglese Clerk, il tedesco Nikolaus Otto che, nel 1876, costruì un motore a quattro tempi capace di unire un rendimento molto elevato a una relativa silenziosità. Si dovettero attendere altri nove anni prima che due ingegneri tedeschi, Gottlieb Daimler e Carl Friedrich Benz, riuscissero, separatamente, a montare dei motori a scoppio - più potenti e meno ingombranti di quelli a vapore - su autoveicoli a ruote, realizzando così, nel 1885, le prime automobili. Il combustibile usato era un distillato del petrolio che prese poi il nome di benzina. Nel 1897, un altro ingegnere tedesco, Rudolf Diesel, inventò il motore a nafta che porta ancora il suo nome. Gli esordi dell'automobile furono lenti e avventurosi. Solo all'inizio del '900 si cominciarono a produrre autovetture a motore sufficientemente veloci e affidabili. E solo negli anni intorno alla prima guerra mondiale fu compiuto - prima negli Stati Uniti, poi in Europa - il salto decisivo verso la produzione in serie. Questo sviluppo limitato fu tuttavia sufficiente a dare un impulso decisivo all'estrazione del petrolio, soprattutto nel Nord America dove, alla fine dell'800, era concentrata la metà della produzione mondiale. La diffusione dei prodotti petroliferi, usati anche come lubrificanti e come combustibili da riscaldamento e da illuminazione, era però ostacolata dagli alti costi di produzione: il prezzo del petrolio era dalle cinque alle dieci volte più alto di quello del carbone, che rimaneva - e sarebbe rimasto fin quasi ai nostri giorni - il combustibile di gran lunga più diffuso.
Alla fine del secolo scorso, molti pensarono che il primato del carbone e della macchina a vapore sarebbe stato presto soppiantato da una nuova e rivoluzionaria forma di energia: l'elettricità. L'elettricità - che non è a rigore una fonte di energia, ma piuttosto una forma di distribuzione dell'energia prodotta da altre fonti primarie, come il vapore o l'acqua in movimento - era oggetto di studio da oltre un secolo. I primi apparecchi elettrici (la pila di Volta, il motore sperimentale di Faraday) risalivano ai primi decenni dell'800: ma si trattava ancora di curiosità scientifiche, non suscettibili di applicazioni pratiche estese. La prima applicazione su vasta scala si ebbe negli anni '40 e '50 con lo sviluppo della telegrafia via filo. Fra il 1860 e il 1880, grazie alle scoperte quasi contemporanee di numerosi scienziati (il belga Gramme, i francesi Planté e Faure, il tedesco Siemens, lo statunitense Edison, l'italiano Pacinotti), fu possibile realizzare congegni in grado di trasformare il movimento di un corpo entro un campo magnetico in corrente elettrica (dinamo e generatori), di immagazzinarla (batterie o accumulatori), di trasmetterla e distribuirla a grandi distanze, di utilizzarla per l'illuminazione o il riscaldamento o di ritrasformarla in movimento (motori elettrici).
L'invenzione decisiva per lo sviluppo dell'industria elettrica fu la lampadina a filamento incandescente, ideata da Thomas Alva Edison nel 1879. "Per la prima volta - ha scritto lo storico americano David S. Landes - l'elettricità forniva qualcosa di utile non solo all'industria o al commercio o al palcoscenico, ma ad ogni famiglia. [...] Adesso esisteva una domanda di dimensioni globali incalcolabili, e tuttavia atomizzata in una moltitudine di bisogni individuali, che poteva essere soddisfatta soltanto da un sistema centralizzato di generazione e distribuzione dell'energia". Nacquero così, all'inizio degli anni '80, in Inghilterra, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e anche in Italia, le prime grandi centrali termiche (azionate cioè da motori a vapore), capaci di fornire energia elettrica a interi quartieri urbani e destinate soprattutto all'illuminazione privata. Più lenta fu l'affermazione dell'elettricità come mezzo di illuminazione pubblica: ai primi del '900, le principali città europee erano ancora illuminate con lampade a gas. A partire dalla fine del secolo, l'energia elettrica cominciò a essere usata anche per i mezzi di trasporto (tramvie e, più tardi, ferrovie) e per gli usi industriali: essa fornì alle fabbriche una forza motrice più comoda e flessibile di quante se ne conoscessero e rese possibili nuove lavorazioni nella chimica e nella metallurgia.
Di fronte alla richiesta sempre crescente di energia elettrica, si faceva strada frattanto l'idea di ricorrere per la produzione di corrente, anziché alle macchine a vapore, all'energia idrica: cioè a quella forma di energia, ben conosciuta fin dagli albori della storia dell'industria, che sfrutta il movimento o la caduta - naturale o artificiale - dei corsi d'acqua. La costruzione di centrali idroelettriche ebbe impulso, nell'ultimo decennio del secolo, soprattutto in quei paesi, come l'Italia del Nord, che erano poveri di carbone ma ricchi di bacini idrici. Parve anzi che in questi paesi il "carbone bianco" prodotto dalle centrali idroelettriche potesse fornire le basi per una futura autosufficienza energetica.
Questi obiettivi si rivelarono presto troppo ambiziosi. Resta comunque il fatto che, in tutti i paesi, lo sviluppo del settore elettrico svolse un ruolo di primo piano nella modernizzazione dell'economia ed ebbe sull'intera società effetti non inferiori a quelli provocati dai contemporanei progressi della metallurgia e della chimica: basti pensare all'illuminazione domestica e ai trasporti urbani. Sempre legate all'elettricità furono altre novità non meno rivoluzionarie, anche se dotate di minore incidenza immediata sulla vita quotidiana delle masse: il telefono, inventato nel 1871 dall'italiano Antonio Meucci e perfezionato pochi anni dopo in America dallo scozzese Alexander Graham Bell; il grammofono, ideato da Edison nel 1876; e infine il cinematografo, sperimentato per la prima volta in Francia nel 1895 dai fratelli Louis e Auguste Lumière. Queste invenzioni erano destinate a produrre i loro effetti soprattutto nel nuovo secolo. Ma, già al loro apparire, fecero intravedere la possibilità di nuovi e fin allora imprevedibili sviluppi nel campo delle comunicazioni, e anche di nuovi linguaggi e di nuove forme di espressione artistica.
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