5.9 Sommario
Complessivamente considerato, il quadro dell'economia dell'Europa continentale dalla Restaurazione alla metà dell'800 si presenta contraddittorio, per la compresenza di elementi di arretratezza e di fattori dinamici. Tale economia era dominata dalle attività agricole, che rimanevano tecnicamente arretrate. Inoltre, la lentezza nei trasporti e l'esistenza di barriere doganali determinavano una frammentazione del mercato: anche per questo le crisi agricole (le più gravi si ebbero nel 1816-17 e 1846-47) potevano portare a vere e proprie carestie.
Tra i fattori che favorirono lo sviluppo economico va ricordato anzitutto l'incremento demografico (dovuto soprattutto a un calo della mortalità), che determinò un allargamento del mercato e dunque stimolò la crescita produttiva. Inoltre, rilevanti furono le conseguenze economiche del progresso scientifico: in questo periodo la novità maggiore, e davvero rivoluzionaria, fu rappresentata dalla ferrovia.
Nell'Europa continentale l'affermarsi dell'industria moderna fu assai lento. L'industrializzazione era ritardata dalla scarsezza di capitali (che si dirigevano principalmente verso l'agricoltura), dall'arretratezza del sistema bancario, dal basso livello dei prezzi e del tenore di vita della popolazione. La produzione manifatturiera o "decentrata" finiva, così, per risultare più conveniente di quella industriale.
Intorno al 1830, si verificò un'accelerazione del processo di industrializzazione nell'Europa continentale. Il primato, in questo periodo, spettava al Belgio, seguito dalla Francia (qui, però, si faceva sentire il peso di un'agricoltura di piccoli e medi proprietari). Più lenta fu l'industrializzazione nei paesi tedeschi, ove tuttavia furono poste alcune premesse per il decollo dei decenni successivi. Nell'Impero asburgico lo sviluppo industriale, per il quale esistevano alcune condizioni favorevoli, fu ostacolato dalle aristocrazie terriere e dai particolarismi nazionali.
Alla diffusione dell'industria moderna si accompagnò lo sviluppo di una nuova classe, il proletariato. L'operaio di fabbrica si distingueva radicalmente, come figura sociale, dall'artigiano indipendente: infatti egli non possedeva i propri strumenti di lavoro, né doveva utilizzare particolari cognizioni tecniche. Orari di lavoro, salari e condizioni di vita degli operai di fabbrica erano estremamente pesanti, e favorirono la spinta a raccogliersi in associazioni e a ribellarsi: anche per questo la "questione operaia" si impose sempre più all'attenzione dell'opinione pubblica e delle classi dirigenti.
I mutamenti intervenuti nella società europea del primo '800 ebbero notevoli conseguenze sul pensiero politico. J.S. Mill cercò di mettere il liberalismo in grado di dar risposta alle nuove esigenze di giustizia sociale e di partecipazione politica. Tocqueville sostenne tanto l'inevitabilità dell'avvento della democrazia, quanto i rischi di appiattimento e di autoritarismo che tale avvento avrebbe comportato. In ambito cattolico si sviluppò, a partire dalla Francia con Lamennais, un cattolicesimo liberale. Dopo che il liberalismo fu condannato dalla Chiesa, l'impegno di molti cattolici si sviluppò sul terreno sociale.
I primi decenni del secolo videro un grande sviluppo del pensiero socialista. L'inglese Owen, dopo il fallimento dei suoi tentativi di fondare comunità socialiste, ebbe un ruolo di rilievo nell'organizzazione del movimento operaio. Più articolato fu lo sviluppo delle teorie socialiste in Francia. Se il pensiero di Fourier si qualificava in senso chiaramente utopista e anti-industriale, quello di Saint-Simon si legava invece a una piena accettazione della realtà dell'industrialismo. Se Cabet e Blanqui si orientavano in senso comunista, Blanc - con la sottolineatura del ruolo dello Stato - fu per certi versi il capostipite del riformismo socialista. Ancora diverse le posizioni di Proudhon, caratterizzate da un cooperativismo più anarchico che socialista.
La principale novità, nel panorama delle teorie socialiste, fu il prender forma del nuovo indirizzo "scientifico" di Marx ed Engels. Nucleo fondamentale del loro pensiero, già presente nel Manifesto dei comunisti (1848), fu la concezione materialistica della storia e la sottolineatura del ruolo rivoluzionario che il proletariato - facendo leva sulle contraddizioni oggettive dello sviluppo capitalistico - era destinato a svolgere per abbattere la società borghese. Le loro teorie, però non ebbero immediata influenza sul movimento operaio europeo, ancora disorganizzato e frammentato.
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