36.3 Il centro-sinistra
I mutamenti economici e sociali suscitati dal "miracolo italiano" si accompagnarono, all'inizio degli anni '60, all'allargamento delle basi del sistema politico, attraverso l'ingresso dei socialisti nell'area di governo. Si trattò del primo importante mutamento negli equilibri politici italiani dopo la rottura della coalizione tripartita nel '47 e il trionfo democristiano nelle elezioni del '48. Non fu un mutamento traumatico, anche perché non nacque da un capovolgimento dei rapporti di forza elettorali, ma da una scelta operata a livello dei gruppi dirigenti dei partiti interessati. Eppure esso suscitò, soprattutto nella sua fase iniziale, molte speranze di rinnovamento e anche, nell'opinione pubblica moderata, molti timori. I due anni seguiti alle elezioni del '58 videro frapporsi numerosi ostacoli sulla difficile strada dell'apertura a sinistra, che era già da tempo nell'aria (
32.10) ma era ancora osteggiata dalla destra economica e da una larga parte della stessa Democrazia cristiana. Opposizioni e perplessità nei confronti del nuovo corso si manifestarono anche in Vaticano e negli ambienti diplomatici statunitensi, prima dell'avvento di Kennedy alla presidenza.
La svolta maturò in seguito a una serie di avvenimenti drammatici. Nella primavera 1960, il democristiano Fernando Tambroni, non riuscendo a trovare l'accordo con socialdemocratici e repubblicani (che avrebbero voluto accelerare i tempi dell'apertura a sinistra), formò ugualmente un governo "monocolore" con l'appoggio determinante dei voti del Movimento sociale: il che suscitò le proteste dei partiti laici e della stessa sinistra Dc, i cui rappresentanti si dimisero dal governo. La tensione esplose alla fine di giugno, quando il governo autorizzò il Msi a tenere il suo congresso nazionale a Genova, nonostante l'opposizione delle forze democratiche cittadine. La decisione, che fu interpretata come un prezzo pagato da Tambroni per l'appoggio parlamentare dei neofascisti e che suonava come una sfida alle tradizioni operaie e antifasciste della città, suscitò un'autentica rivolta popolare: per tre giorni (30 giugno-2 luglio 1960) operai e militanti antifascisti si scontrarono duramente con la polizia che cercava di garantire lo svolgimento del congresso missino. Alla fine il governo cedette e il congresso fu rinviato. Ma altre manifestazioni antigovernative dilagate in molte città furono represse aspramente, in qualche caso con le armi, provocando una decina di morti (cinque nella sola Reggio Emilia). In un clima di sollevazione dell'opinione pubblica di sinistra, Tambroni fu sconfessato dalla stessa Dc e costretto a dimettersi. Con lui cadde ogni ipotesi di governo appoggiato dall'estrema destra.
Per superare la gravissima crisi, fu formato un nuovo governo monocolore presieduto da Fanfani, che ottenne, nell'agosto '60, l'astensione dei socialisti in Parlamento, aprendo così la stagione politica del "centro-sinistra". La nuova alleanza fu sancita dal congresso della Dc che si tenne nel gennaio '62, grazie alla sapiente regia del segretario
Aldo Moro, che riuscì a far accettare la svolta al grosso del suo partito. Un nuovo governo Fanfani, formatosi nel marzo '62 e composto da Dc, Pri e Psdi, si presentò con un programma concordato col Psi, che si impegnava a dare il suo appoggio a singoli progetti legislativi.
Fu proprio in questa fase che la politica di centro-sinistra, ancora incompiuta sul piano della composizione dell'esecutivo (i socialisti non facevano parte del governo), conseguì i risultati più avanzati. Il programma di governo prevedeva infatti la realizzazione della scuola media unificata, l'attuazione dell'ordinamento regionale previsto dalla Costituzione, l'imposizione fiscale nominativa sui titoli azionari e la nazionalizzazione dell'industria elettrica. Queste due ultime riforme, che erano state da tempo richieste dai socialisti come condizione per il loro ingresso nella maggioranza, miravano a introdurre dei correttivi nella struttura del capitalismo italiano e si inquadravano nel tentativo di dare avvio a una programmazione economica, nucleo qualificante e obiettivo prioritario del disegno riformatore: un disegno che mirava a potenziare gli strumenti dell'intervento statale sull'economia, al fine di ridurre gli squilibri della società italiana, e soprattutto il divario fra Nord e Sud.
La nazionalizzazione dell'industria elettrica fu portata a compimento, pur fra molte difficoltà, nel dicembre '62, con la creazione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica (Enel). Nel gennaio '63 fu approvata la legge di riforma che istituiva la scuola media unica, abolendo gli istituti di avviamento professionale (destinati, nel vecchio ordinamento, a coloro che non avevano la possibilità di proseguire gli studi). Breve vita ebbe invece il prelievo fiscale sui titoli azionari, che fu radicalmente modificato già nel '64 dopo una fase di crollo in borsa e di fuga dei capitali. L'attuazione delle regioni, temuta dalla Dc perché avrebbe rafforzato le sinistre al livello del potere locale, fu rinviata. Quanto alla politica di programmazione, essa non riuscì mai a tradursi compiutamente in pratica e rimase il simbolo più evidente dell'utopia riformatrice del primo centro-sinistra. Tale politica avrebbe richiesto infatti consensi politici e sindacali più ampi di quelli rappresentati dalle forze di governo, peraltro già largamente divise. Il contrasto non riguardava solo la quantità e la portata delle riforme, ma anche le priorità da introdurre nella politica di programmazione, che per i socialisti doveva privilegiare gli investimenti e la spesa sociale, mentre per i repubblicani (guidati dal ministro del Bilancio Ugo La Malfa) comportava anche un controllo della dinamica salariale (la cosiddetta politica dei redditi), al fine di commisurarla alla crescita produttiva e di contenere così i processi inflazionistici.
I contrasti nella maggioranza furono esasperati dall'esito delle elezioni dell'aprile '63. La perdita dei voti della Dc e del Psi, il successo dei liberali, che si erano fortemente opposti all'apertura a sinistra, e il rafforzamento dei comunisti accentuarono le resistenze moderate in seno alla Dc e inasprirono le divisioni interne del Psi. Un governo "organico" di centro-sinistra (cioè con la partecipazione di ministri socialisti accanto a quelli democristiani, socialdemocratici e repubblicani) si formò solo nel dicembre 1963 sotto la presidenza di Aldo Moro e nacque su basi più moderate rispetto al precedente governo Fanfani.
A partire dal '63, il processo riformatore fu praticamente bloccato, anche per il manifestarsi dei primi segni di crisi economica, che sembravano suggerire una politica più cauta. Inoltre, si faceva sempre sentire il peso delle forze ostili al centro-sinistra, che annoveravano tra le loro file, oltre alla destra economica, anche le alte gerarchie militari (nell'estate del '64 si diffusero addirittura voci di un progetto di colpo di Stato promosso dal generale De Lorenzo, capo dei servizi segreti delle forze armate) e lo stesso presidente della Repubblica, il democristiano Antonio Segni. Ma gli ostacoli più seri a una politica innovatrice venivano dall'interno della coalizione governativa, in particolare dall'esigenza della Dc di mantenere unito il composito fronte di forze economiche e sociali che costituiva la sua base di consenso: un fronte in cui le istanze di rinnovamento erano nettamente minoritarie rispetto al peso dei gruppi moderati che avevano accettato a malincuore la politica di centro-sinistra. Nell'atteggiamento della Dc agivano anche la visione solidaristica della politica e il rifiuto ideologico di scelte radicali che erano tipici della cultura cattolica e si riflettevano nel modo di operare di un leader come Aldo Moro, tendente a risolvere i contrasti col compromesso e la mediazione (anche a costo di un progressivo svuotamento dei connotati originari del programma di governo).
Se la Dc riuscì in questo modo a mantenere la sua unità, il Psi pagò la partecipazione al governo con una riacutizzazione dei dissensi interni e con una nuova scissione: nel gennaio 1964, la minoranza di sinistra - che si opponeva alla scelta governativa e non voleva rinunciare all'alleanza col Pci - diede vita al Partito socialista di unità proletaria (Psiup). Nella stessa maggioranza del Psi si fronteggiavano due linee diverse: una, impersonata da Riccardo Lombardi, sosteneva che le riforme dovevano essere "di struttura" e fungere da strumento per la modificazione del sistema economico-sociale; l'altra, che faceva capo a Pietro Nenni, era attenta soprattutto alla modifica degli equilibri politici e mirava all'unificazione col Psdi. La fusione sarebbe stata in effetti realizzata nell'ottobre 1966; ma i due partiti si sarebbero nuovamente separati tre anni dopo, in seguito all'esito deludente delle elezioni del '68.
Il disegno di un rafforzamento socialista fallì sia per l'incidenza della scissione del Psiup (che nel '68 raccolse il 4,5% dei voti), sia per l'ampliamento dei consensi del Pci. Nell'agosto 1964, Togliatti era morto durante un soggiorno in Urss, lasciando al partito una pesante eredità, ma indicando, nel cosiddetto memoriale di Yalta (una specie di testamento politico redatto alla vigilia della morte), una linea che riaffermava il principio dell'indipendenza da Mosca e l'originalità della "via italiana al socialismo". I funerali di Togliatti, che si tennero a Roma, furono un esempio emblematico del larghissimo seguito e delle grandi capacità organizzative di un partito che, con oltre il 25% dei voti, restava tuttavia in una posizione di marcato isolamento. L'isolamento non fu attenuato dal contributo determinante dei voti comunisti all'elezione alla presidenza della Repubblica del leader socialdemocratico Giuseppe Saragat, che nel dicembre '64 successe a Segni, dimessosi per malattia.
Nonostante le difficoltà incontrate fin dai suoi esordi, la formula di centro-sinistra sarebbe durata, con fasi alterne e interruzioni, per oltre un decennio, con i governi presieduti fino al '68 da Moro, poi da Mariano Rumor e da Emilio Colombo. Ma si sarebbe progressivamente esaurita, rivelandosi inadeguata a fronteggiare i problemi di una società sempre più articolata e percorsa da un'elevata conflittualità politica e sindacale.
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