18.8 La rivoluzione russa del 1905
Priva di canali legali attraverso cui esprimersi, la protesta politica e sociale nella Russia zarista finì col coagularsi in un moto rivoluzionario: il più ampio e sanguinoso cui l'Europa avesse mai assistito dai tempi della Comune parigina.
A far precipitare gli eventi contribuì lo scoppio nel 1904 della guerra col Giappone (ne parleremo nel prossimo capitolo) che, provocando fra l'altro un brusco aumento dei prezzi, fece immediatamente salire la tensione sociale. In una domenica di gennaio del 1905, a Pietroburgo, un corteo di 150.000 persone che si dirigeva verso il Palazzo d'inverno, residenza dello zar, per presentare al sovrano una petizione (vi si chiedevano maggiori libertà politiche e interventi atti ad alleviare il disagio delle classi popolari) fu accolto a fucilate dall'esercito: i morti furono più di cento e oltre duemila i feriti. La brutale repressione della "domenica di sangue" scatenò in tutto il paese - nei grandi centri come nelle campagne - un'ondata di agitazioni, di vere e proprie sommosse, di ammutinamenti nelle stesse forze armate. E le agitazioni si intensificavano man mano che giungevano le notizie sull'esito catastrofico della guerra.
Fra la primavera e l'autunno del 1905, la Russia visse in uno stato di semianarchia. Di fronte alla crisi dei poteri costituiti - incapaci di riportare l'ordine, anche perché il grosso dell'esercito era impegnato in Estremo Oriente, a migliaia di chilometri dal territorio russo - sorsero spontaneamente in molti centri nuovi organismi rivoluzionari, i soviet (termine russo che significa "consigli"), cioè rappresentanze popolari elette sui luoghi di lavoro e costituite da membri continuamente revocabili, secondo un principio di democrazia diretta ispirato all'esperienza della Comune di Parigi. Il più importante di questi soviet, quello di Pietroburgo, assunse la guida del movimento rivoluzionario nella capitale e si trovò a esercitare un notevole potere di fatto in tutta la Russia.
In ottobre lo zar parve finalmente disposto a cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative. Nello stesso tempo, però, le autorità incoraggiavano segretamente la formazione di movimenti paramilitari di estrema destra (le famigerate Centurie nere) e organizzavano spedizioni punitive contro i rivoluzionari e pogrom antiebraici. Fra novembre e dicembre infine - dopo che era stata conclusa la pace col Giappone e le truppe erano rientrate dal fronte - la corona e il governo passarono risolutamente alla controffensiva facendo arrestare quasi tutti i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciando con durezza le rivolte successivamente scoppiate nella capitale e a Mosca.
Una volta ristabilito l'ordine, restava, come unico risultato del moto rivoluzionario, l'impegno dello zar di convocare un'assemblea rappresentativa (Duma) che, nelle speranze dei gruppi liberal-democratici e degli stessi socialisti menscevichi, avrebbe dovuto aprire nuovi spazi di libertà nella vita politica russa. Molto diversa su questo punto era la posizione dei bolscevichi che non nutrivano alcuna fiducia nelle istituzioni "borghesi" ed erano convinti che la classe operaia dovesse guidare in prima persona il processo rivoluzionario, alleandosi con gli strati più poveri del ceto contadino. Le attese di un'evoluzione parlamentare del regime andarono comunque deluse. Eletta nell'aprile 1906, a suffragio universale ma con un complicato sistema che privilegiava i proprietari terrieri, dotata di poteri troppo limitati per poter condizionare l'esecutivo, la prima Duma risultò ugualmente un ostacolo troppo ingombrante sulla via della restaurazione assolutista e fu sciolta dopo poche settimane. Uguale sorte subì una seconda Duma eletta nel febbraio 1907 e rivelatasi ancor meno governabile della prima, in quanto le elezioni avevano rafforzato le ali estreme (destra reazionaria e socialisti rivoluzionari) ai danni del centro rappresentato dai costituzionali-democratici (cadetti). A questo punto (estate 1907) il governo modificò la legge elettorale in senso smaccatamente classista (il voto di un grande proprietario contava cinquecento volte quello di un operaio) e poté finalmente disporre di un'assemblea più docile, composta in gran parte da aristocratici. Con questo colpo di mano, gli strascichi della rivoluzione del 1905 potevano considerarsi liquidati e la Russia tornava a essere un regime sostanzialmente assolutista.
Artefice principale della restaurazione fu il conte Pëtr Stolypin, diventato primo ministro nel 1906 in sostituzione del troppo "liberale" Vitte. Stolypin legò il suo nome alla spietata repressione di ogni opposizione politica, ma al tempo stesso si pose il problema di riguadagnare al regime una base di consenso e avviò - prima di cadere vittima di un attentato nel 1911 - una riforma agraria destinata a incidere profondamente nella struttura sociale del paese. Punto chiave della riforma Stolypin fu la dissoluzione della struttura comunitaria del mir (
9.3): in base a un decreto del 1906 i contadini ebbero la facoltà di uscire dalle comunità di villaggio, diventando proprietari della terra che coltivavano e godettero di facilitazioni creditizie per l'acquisto di altre terre sottratte al demanio statale o cedute, dietro indennizzo, dai latifondisti. Lo scopo era quello di creare un ceto di piccola borghesia rurale che fosse al tempo stesso fattore di modernizzazione economica e di stabilità politica. Il progetto riuscì solo in parte. Dei nuovi piccoli proprietari creati dalla riforma (circa sette milioni fra il 1906 e il 1914), una parte andò a ingrossare il numero dei contadini ricchi o relativamente agiati (kulaki); ma i più non trovarono nei loro piccoli appezzamenti la possibilità di condizioni di vita accettabili. Tutto ciò favoriva alla lunga l'esodo dalle campagne (e aumentava dunque la disponibilità di manodopera per l'industria), ma provocava nell'immediato un'ulteriore radicalizzazione dei contrasti sociali e non permetteva dunque il raggiungimento di quegli obiettivi di stabilizzazione che erano stati all'origine della riforma.
Torna all'indice