22.8 La nuova società
Lo sforzo di trasformazione del paese intrapreso dai bolscevichi dopo la rivoluzione d'ottobre non riguardò soltanto le strutture economiche e gli ordinamenti politici. Come tutti i rivoluzionari dei tempi moderni, anche i comunisti russi miravano a cambiare la società nel profondo, a cancellare valori e comportamenti tradizionali, a creare una nuova cultura adatta alla realtà socialista che si voleva costruire. Uno sforzo reso tanto più necessario dall'arretratezza della società rurale russa, abituata da secoli all'ossequio all'autorità costituita e ai rapporti di dipendenza personale. Lo sforzo dei bolscevichi si indirizzò soprattutto in due direzioni: l'educazione della gioventù (presupposto essenziale per la creazione dell'"uomo nuovo", ma anche premessa indispensabile per lo sviluppo economico) e la lotta contro la Chiesa ortodossa, in quanto istituzione e in quanto espressione di una visione del mondo che si voleva estirpare perché incompatibile con i fondamenti materialisti della dottrina marxista.
La lotta per la scristianizzazione del paese fu condotta con molta durezza (confisca dei beni ecclesiastici, chiusura di chiese, arresti di capi religiosi) e, nel complesso, poté dirsi riuscita nei suoi obiettivi. L'influenza della Chiesa non fu del tutto eliminata (culti e credenze continuarono a sopravvivere, soprattutto nelle campagne), ma certo drasticamente ridimensionata. La Chiesa ortodossa, che pure aveva una presenza capillare nella società russa, era, già prima della rivoluzione, indebolita e screditata da una troppo lunga tradizione di dipendenza dal vecchio ordine politico-sociale e non fu in grado di opporre una resistenza paragonabile a quella messa in atto dalla Chiesa cattolica ai tempi della rivoluzione francese. A partire dal 1925, allentatasi la stretta repressiva nei suoi confronti, si adattò a vivere negli spazi limitatissimi che il regime comunista decise di concederle.
La battaglia contro le sopravvivenze della religione e della morale tradizionale si estese naturalmente anche ai problemi della famiglia e dei rapporti fra i sessi. Il governo rivoluzionario stabilì fra i suoi primi atti il riconoscimento del solo matrimonio civile e semplificò al massimo le procedure per il divorzio. Nel 1920 fu legalizzato l'aborto. Fu proclamata l'assoluta parità fra i sessi e la condizione dei figli illegittimi fu equiparata a quella dei legittimi. In generale il regime comunista favorì una notevole liberalizzazione dei costumi, anche se furono ben presto emarginate le posizioni estreme di coloro che ritenevano che la rivoluzione avrebbe dovuto portare all'assoluta libertà sessuale e alla scomparsa della famiglia.
Ma il settore in cui l'opera del nuovo regime si esplicò con maggiore impegno e con i risultati più notevoli fu quello dell'istruzione, che fu resa obbligatoria fino all'età di quindici anni. La lotta contro l'analfabetismo si accompagnò a sostanziali innovazioni nei contenuti e nei metodi dell'insegnamento. Si cercò di collegare la scuola al mondo della produzione, privilegiando l'istruzione tecnica su quella umanistica. E ci si preoccupò, nel contempo, di formare ideologicamente le nuove generazioni incoraggiando l'iscrizione in massa nell'organizzazione giovanile del partito (il Komsomol, ossia Unione comunista della gioventù) e facendo largo spazio in tutti i livelli di istruzione all'insegnamento della dottrina marxista.
Gli effetti della rivoluzione si fecero sentire anche nel mondo dell'alta cultura. Parecchi intellettuali di prestigio (come il musicista Igor Stravinskij, il pittore Marc Chagall, il linguista Roman Jakobson) andarono a ingrossare le file dell'emigrazione politica. Ma i più, soprattutto fra i giovani, si gettarono con entusiasmo nell'esperienza rivoluzionaria tentando di trasferirne contenuti e valori nei propri settori di attività. Se per alcuni intellettuali comunisti la nuova arte "proletaria" doveva porsi al diretto servizio della politica di classe e andare incontro ai bisogni culturali delle masse, per molti altri - quelli già impegnati nei movimenti d'avanguardia artistica e letteraria - la rivoluzione nelle arti doveva essere parallela a quella politica (non dipendente da essa) e doveva consistere prima di tutto nella rottura dei canoni tradizionali e nella ricerca di nuove forme espressive.
In una prima fase queste tendenze d'avanguardia furono guardate con simpatia o apertamente incoraggiate dalle autorità preposte alla cultura. Anche per questo gli anni del dopo-rivoluzione rappresentarono una stagione di intensa sperimentazione, di accesi dibattiti fra le varie correnti e soprattutto di straordinaria fioritura creativa. Furono gli anni della poesia futurista di Majakovskij e Chlebnikov, del teatro rivoluzionario di Mejerchold, della pittura astrattista di Malevič e Lisitzkij, dei primi grandi film di Ėjzenštejn e di Pudovkin. La stagione d'oro delle avanguardie ebbe però breve durata. A partire dalla metà degli anni '20, la libertà di espressione artistica fu sempre più condizionata dalle preoccupazioni di ordine propagandistico e dalla crescente invadenza di un potere politico che diventava sempre più autoritario.
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