29.9 Il "nuovo ordine". Resistenza e collaborazionismo
Nella primavera-estate del '42, le potenze del Tripartito raggiunsero la loro massima espansione territoriale. Il Giappone dominava, come si è appena visto, su tutto il Sud-est asiatico, su vaste zone della Cina e su molte isole del Pacifico. In Europa le forze dell'Asse, di nuovo all'offensiva in Russia, controllavano, direttamente o indirettamente, un territorio di circa 6 milioni di chilometri quadrati con oltre 350 milioni di abitanti. Attorno alla Germania e all'Italia ruotavano gli alleati "minori": Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Serbia e Francia di Vichy. In Olanda, in Norvegia e in Boemia governavano "alti commissari" tedeschi. Ai due lati del blocco e al suo estremo settentrionale c'erano Spagna, Turchia e Svezia, formalmente neutrali ma di fatto incluse nella sfera politico-economica dell'Asse. All'interno di questo blocco l'Italia aveva un ruolo marginale. Il vero cuore pulsante del sistema era infatti la Germania, la cui macchina bellica lavorava a pieno ritmo, grazie anche al lavoro obbligatorio dei prigionieri di guerra e degli operai prelevati dai paesi occupati: una massa enorme di uomini valutabile a oltre 5 milioni nell'estate '42 (e a quasi 10 verso la fine della guerra).
Sia la Germania sia il Giappone cercarono di costruire nelle zone sotto il loro controllo un nuovo ordine basato sulla supremazia della nazione eletta e sulla rigida subordinazione degli altri popoli alle esigenze dei dominatori. Mentre però il Giappone si appoggiò ai movimenti indipendentisti locali e fece propria, strumentalmente, la causa della lotta contro l'imperialismo europeo, la Germania non concesse nulla alle esigenze di indipendenza e di autogoverno dei popoli ad essa soggetti. Un trattamento particolarmente duro e inumano fu riservato ai popoli slavi, considerati razzialmente inferiori e destinati, nei progetti di Hitler, a una condizione di semischiavitù: tutta l'Europa orientale doveva diventare una colonia agricola del Grande Reich, ogni traccia di industrializzazione e di urbanizzazione doveva essere cancellata, ogni forma di istruzione superiore bandita. Le élite dirigenti e gli intellettuali (a cominciare dai quadri del Partito comunista in Russia) dovevano essere sterminati fisicamente. Circa 6 milioni di civili sovietici e 2 milioni e mezzo di polacchi, senza contare gli ebrei, morirono durante il conflitto per i maltrattamenti, gli stenti e le esecuzioni in massa. Dei quasi 6 milioni di prigionieri di guerra russi, più della metà non fecero mai ritorno in patria.
Ma la persecuzione più orribile e più spietata fu quella consumata contro gli ebrei, da sempre considerati da Hitler come il nemico principale e sottoposti in Germania, già prima della guerra, a una serie di crescenti vessazioni. In tutti i paesi occupati dai nazisti - in particolare in quelli dell'Europa orientale, dove le comunità israelitiche erano più numerose - gli ebrei furono prima confinati nei ghetti (quello di Varsavia fu teatro, nell'aprile '43, di una disperata insurrezione terminata con un massacro) e discriminati, anche visibilmente, con l'obbligo di portare al braccio una stella gialla; quindi furono deportati in campi di prigionia (lager), situati per lo più in località della Polonia o della Germania, dai nomi destinati a restare tristemente famosi (Auschwitz, Buchenwald, Dachau e molte altre). Qui i deportati venivano sfruttati fino alla consunzione fisica, usati talora come cavie per esperimenti medici e, se non erano in grado di lavorare, eliminati in massa nelle camere a gas. La "soluzione finale" del problema ebraico, progettata e avviata da Hitler a partire dal '41 e affidata alle cure delle SS, prevedeva infatti la pura e semplice eliminazione fisica degli ebrei. Fra i 5 e i 6 milioni di israeliti - provenienti da ogni parte d'Europa, ma per la maggior parte polacchi e russi - scomparvero così negli anni della guerra.
Il sistema di sfruttamento, di terrore e di sterminio pianificato costruito dai tedeschi nell'Europa occupata portò alla Germania consistenti vantaggi immediati: una riserva inesauribile di forza-lavoro gratuita, un flusso continuo di materie prime, un enorme prelievo di ricchezza e di beni di consumo che permise ai cittadini tedeschi di mantenere, almeno fino al '43, un livello di vita molto più elevato di quello consentito agli altri popoli europei. Questo sistema di dominio, ispirato a un cieco e irrazionale fanatismo razziale, costrinse però i tedeschi a mantenere nei territori occupati forti contingenti di truppe; suscitò nelle popolazioni soggette moti di ribellione che spesso sarebbero sfociati in resistenza armata; sollevò infine contro la Germania nazista un'ondata di odio che avrebbe finito per rivolgersi contro l'intero popolo tedesco.
Episodi di resistenza all'occupazione nazista - in forme che andavano dalla non collaborazione alla diffusione di materiale propagandistico, alla trasmissione di informazioni agli alleati, al sabotaggio - si manifestarono già nella prima fase della guerra in tutti i paesi invasi dai nazisti. Protagonisti di questi episodi erano di solito piccoli gruppi antifascisti, appoggiati dagli inglesi e legati per lo più ai governi in esilio o ai movimenti di liberazione (come la Francia libera di De Gaulle) che avevano trovato ospitalità in Gran Bretagna. Ma fu soprattutto con la primavera-estate del '41 che la resistenza al nazismo assunse in molti paesi dimensioni rilevanti. Veri movimenti popolari furono quelli che si svilupparono in Jugoslavia e in Grecia. Un salto decisivo fu poi rappresentato dall'attacco tedesco all'Urss, che portò i comunisti di tutta Europa a impegnarsi attivamente nella lotta armata contro i nazisti.
Non sempre le diverse forze che confluivano nella
Resistenza riuscirono a stabilire una linea d'azione comune. Nonostante avessero adottato una strategia che subordinava ogni obiettivo rivoluzionario alla lotta di liberazione nazionale - strategia voluta soprattutto da Stalin che, nel maggio '43, a garanzia della nuova linea, decise lo scioglimento del Comintern - i comunisti erano guardati con sospetto dagli anglo-americani e dalle componenti moderate del fronte antifascista. Accordi unitari furono ugualmente raggiunti in Francia e, come vedremo fra poco, in Italia. Ma la collaborazione si rivelò impossibile in quei paesi dell'Europa orientale e balcanica dove più diffuso era il timore che i partiti comunisti fungessero da strumento per i piani egemonici dell'Urss. In Jugoslavia in particolare - il paese in cui il movimento di resistenza assunse più che altrove le dimensioni di una guerra di popolo - l'esercito popolare guidato dal comunista Josip Broz (più noto col nome di battaglia di
Tito) prevalse nettamente sui gruppi nazionalistici e monarchici.
La resistenza al nazismo rappresentò solo una faccia della realtà dell'Europa occupata dai tedeschi. In tutti i paesi invasi dalla Germania o da essa controllati, vi fu una parte più o meno consistente della popolazione che, per opportunismo o per convinzione, accettò di collaborare con i dominatori. Le forze di occupazione tedesche trovarono ovunque degli alleati per la lotta antipartigiana, dei volontari pronti ad arruolarsi nelle loro file (decine di migliaia di giovani di diversi paesi furono inquadrati nei reparti combattenti delle SS), dei leader disposti a governare in nome e alle dipendenze degli occupanti.
In alcuni paesi i tedeschi si servirono di esponenti dei fascismi locali. In altri trovarono il sostegno di movimenti separatisti (gli slovacchi, gli ustascia croati) già in lotta contro gli Stati cui appartenevano. In altri ancora, infine, furono frazioni della classe dirigente al potere prima della guerra che si assunsero la responsabilità di governare nel segno di un esasperato anticomunismo o di un malinteso spirito di realismo. Il caso più importante in questo senso fu quello della Francia di Vichy, la cui sottomissione ai tedeschi si accentuò nella primavera del '42, quando Pétain affidò il governo a Pierre Laval, già primo ministro negli anni '30. La sua accondiscendenza verso la Germania non servì a evitare che, dopo lo sbarco alleato in Nord Africa alla fine del '42, i tedeschi occupassero anche la parte meridionale del paese ponendo fine a ogni simulacro di indipendenza.
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