10.3 Cavour
La battaglia per l'approvazione delle leggi Siccardi - che incontrarono una durissima opposizione nel clero e negli ambienti conservatori - vide emergere nelle file della maggioranza liberal-moderata la figura di un nuovo e dinamico leader: il conte
Camillo Benso di Cavour, aristocratico e uomo d'affari, proprietario terriero e giornalista, direttore di un battagliero organo di stampa dal titolo "Il Risorgimento".
Nato nel 1810, il conte di Cavour era cresciuto e si era formato in un clima familiare aristocratico e conservatore, ma diverso da quello chiuso e retrivo che caratterizzava la nobiltà piemontese nell'età della Restaurazione. Suo padre faceva parte infatti di quel settore, allora abbastanza ristretto, dell'aristocrazia terriera che amministrava direttamente il proprio patrimonio, secondo il modello inglese del nobile che si fa imprenditore e tende ad avvicinare i suoi interessi a quelli della borghesia. Sua madre veniva da una nobile famiglia calvinista di Ginevra: e Ginevra era, all'inizio dell'800, una città cosmopolita, punto di incontro delle più importanti correnti culturali europee. Cosmopolitismo culturale e intraprendenza borghese furono le due componenti decisive nella formazione di Cavour, che già negli anni giovanili si avvicinò alle idee liberali; e, all'indomani della rivoluzione del 1830 in Francia, abbandonò la carriera militare, cui lo destinava la sua condizione di secondogenito di una famiglia aristocratica, per dedicarsi agli studi, ai viaggi (soggiornò a lungo in Inghilterra, in Francia, in Belgio oltre che a Ginevra), agli affari e alla cura del patrimonio familiare: in particolare della grande tenuta di Leri nel Vercellese, che trasformò in un'azienda agricola d'avanguardia.
Quando, nel 1847-48, decise di dedicarsi al giornalismo e all'attività politica - che prima gli era stata preclusa dall'assolutismo imperante nello Stato sabaudo - il suo pensiero era già coerentemente sviluppato. L'ideale politico di Cavour era quello di un liberalismo moderato, ispirato alla formula del "giusto mezzo" e all'esempio della monarchia di Luigi Filippo. Un modello, quindi, molto lontano dai valori-base della democrazia ottocentesca (sovranità popolare, suffragio universale, ecc.). Cavour era convinto che la tendenza verso un sempre maggiore allargamento delle basi dello Stato era inarrestabile, ma conteneva in sé gravissimi pericoli ove non fosse stata attuata con gradualità e incanalata in un sistema monarchico-costituzionale, fondato sulla libertà individuale e sulla proprietà privata: anzi, un sistema del genere, purché inteso in senso attivo, come promotore di riforme e di trasformazioni, era visto da lui come l'unico antidoto efficace contro la rivoluzione e il disordine sociale. Rispetto al moderatismo dottrinario tipico della cultura francese nell'età della Restaurazione, il liberalismo cavouriano aveva dunque un piglio più moderno e più pragmatico. A una concreta esperienza di uomo d'affari e di imprenditore agricolo, Cavour univa infatti una buona conoscenza della teoria economica e vedeva nello sviluppo dell'economia la premessa indispensabile per il progresso politico e civile. Ammiratore di Cobden e del liberalismo britannico, nutriva quella fiducia pressoché illimitata nelle virtù della libertà economica che era tipica della migliore cultura borghese del suo tempo.
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