23. L'eredità della Grande Guerra
23.1 Le trasformazioni sociali
Gli effetti del primo conflitto mondiale non si esaurirono nella tremenda distruzione di vite umane e nello sconvolgimento dei confini fra gli Stati. La guerra era stata la più grande esperienza di massa mai vissuta fin allora nella storia dell'umanità e aveva agito come un potentissimo acceleratore dei fenomeni sociali, come una incubatrice di trasformazioni e rivolgimenti in tutti i campi della vita associata. Circa 65 milioni di uomini erano stati strappati alle loro occupazioni abituali e coinvolti in un'esperienza collettiva senza precedenti. Si erano trovati, spesso per la prima volta, inseriti in una comunità organizzata e articolata gerarchicamente e si erano così abituati a vivere in gruppo, a obbedire o a comandare. Si erano assuefatti all'uso delle armi, alla svalutazione della vita umana, al dramma quotidiano della morte violenta.
Tornati alla vita civile, i combattenti si trovarono di fronte a una realtà molto diversa da quella che avevano lasciato. Nel lavoro dei campi, nelle fabbriche, negli uffici le donne erano subentrate in gran numero a fratelli e mariti, creando, a guerra finita, non pochi problemi per il reinserimento dei reduci. L'espansione dell'industria di guerra aveva spostato dalle campagne alle città nuovi strati di lavoratori non qualificati, per lo più donne e ragazzi non ancora in età di leva. Il brusco distacco dal nucleo familiare di molti giovani, l'allargamento dell'area del lavoro femminile, l'assenza prolungata dei capifamiglia chiamati al fronte avevano messo in crisi le strutture tradizionali della famiglia patriarcale e provocato mutamenti profondi nella mentalità e nelle abitudini delle generazioni più giovani. Le donne tendevano a rendersi più indipendenti dagli uomini, i figli dai padri. C'era minor rispetto per le tradizioni e per le gerarchie consolidate. L'abbigliamento - indicatore fra i più significativi dei mutamenti del costume - si fece più libero e disinvolto: abiti più sportivi per gli uomini, più corti e leggeri per le donne. I giovani cercavano nuove occasioni di divertimento e le trovavano nel cinema o nella musica americana importata in Europa dai soldati statunitensi. I lavoratori chiedevano maggior disponibilità di tempo libero. Tutti cercavano qualche forma di compenso per le sofferenze subite o per gli anni perduti a causa della guerra. Tutto contribuiva a rendere più febbrile e concitato il ritmo della vita nelle grandi città.
Il primo problema che si pose con drammatica urgenza alle classi dirigenti di tutti i paesi fu il reinserimento dei reduci. Chi aveva per anni rischiato la vita sui campi di battaglia tornava a casa con una nuova coscienza dei propri diritti, con la convinzione di aver maturato un credito nei confronti della società. Quelli che al fronte avevano avuto ruoli di comando trovavano spesso difficoltà a riprendere occupazioni o studi per troppo tempo abbandonati e mal si rassegnavano al ritorno a un lavoro subordinato. Nacque allora un nuovo tipo sociale, quello del reduce di guerra, nacque una nuova mentalità "combattentistica", fatta di fierezza, di attaccamento alla memoria dei morti, di cameratismo e di istintiva ostilità verso la politica e le divisioni partitiche. Sorsero dappertutto grosse associazioni di ex combattenti che agivano come veri e propri gruppi di pressione, pronti a mobilitarsi per la difesa dei propri valori e dei propri interessi. Nei confronti dei reduci i governanti di tutti i paesi furono larghi di promesse; ma in realtà, a causa dei gravissimi problemi finanziari che assillavano gli Stati europei, le provvidenze in favore dei combattenti (polizze di assicurazione, premi di smobilitazione, pensioni per gli invalidi, gli orfani e le vedove) furono piuttosto modeste. Di qui un senso di acuto risentimento che fu tra le cause non ultime dei fermenti sociali postbellici.
Le inquietudini dei reduci erano però solo un segno di un più vasto fenomeno di mobilitazione sociale. La guerra aveva dimostrato l'importanza del principio di organizzazione applicato alle masse. E, se questo principio aveva dominato in guerra, perché non estenderlo alle battaglie politiche e sociali del tempo di pace? Per far valere i propri diritti e per affermare le proprie rivendicazioni sembrava dunque necessario associarsi e organizzarsi in gruppi il più possibile numerosi. Risultò così bruscamente accentuata la tendenza, già in atto, alla massificazione della politica. Partiti e sindacati videro aumentare ovunque il numero dei loro iscritti, i loro apparati organizzativi divennero più complessi e centralizzati. Di fronte a questa crescita delle organizzazioni di massa persero importanza le forme tradizionali dell'attività politica nei regimi liberali: quelle che si svolgevano nei circoli ristretti dei notabili e che culminavano nell'azione parlamentare. Acquistavano invece maggior peso e maggiore frequenza le manifestazioni pubbliche (comizi, dimostrazioni, adunate, cortei) basate sulla partecipazione diretta dei cittadini. La consapevolezza del sacrificio subito dai popoli giustificava di per sé l'attesa di soluzioni nuove. Che senso avrebbero avuto tante stragi e tante distruzioni se non fossero almeno servite a porre le premesse per una società più giusta, per un ordine politico e sociale diverso da quello che aveva portato l'Europa alla guerra? Era stata del resto la stessa propaganda ufficiale a incoraggiare le aspettative in tal senso.
L'aspirazione a un ordine nuovo era dunque comune alla maggioranza degli europei. Varie però erano le soluzioni concrete che venivano prospettate. Diversi, o addirittura opposti, i princìpi che le ispiravano. Per un buon numero di lavoratori e di intellettuali l'ordine nuovo era quello che si stava cominciando ad attuare in Russia. Ma questa prospettiva radicale era fatta propria solo da minoranze, per quanto consistenti e attive. Più numerosi erano coloro che limitavano le loro aspirazioni a un generico desiderio di pace e di giustizia sociale, che cercavano di inserire le loro richieste concrete (salari più alti, case a buon mercato, terre da coltivare) nel quadro ideale di una società più equa e più democratica, che tentavano di conciliare le loro rivendicazioni patriottiche col progetto wilsoniano di un nuovo ordine internazionale fondato sull'autodeterminazione dei popoli e sui pacifici rapporti fra le nazioni.
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