20.5 I governi Giolitti e le riforme
Su una realtà complessa e contraddittoria come quella dell'Italia all'inizio del '900 si esercitò per oltre un decennio l'opera di governo di Giovanni Giolitti, certo la più notevole figura di statista mai apparsa in Italia dopo la morte di Cavour.
Chiamato alla guida del governo nel novembre 1903, dopo le dimissioni di Zanardelli, Giolitti cercò non soltanto di portare avanti l'esperimento liberal-progressista avviato dal precedente ministero, ma anche di allargarne le basi offrendo un posto nella compagine governativa al socialista Filippo Turati. Era certamente una proposta coraggiosa, se si pensa che solo cinque anni prima Turati era stato condannato e incarcerato come sovversivo. Ma il leader socialista rifiutò l'offerta, in quanto la giudicava prematura e temeva, non a torto, di non essere seguito dal suo partito. Giolitti finì col costituire un ministero nettamente spostato al centro e aperto alla partecipazione di esponenti moderati. Una mossa questa che dà la misura dei limiti entro cui si muoveva il riformismo giolittiano, sempre condizionato dal peso delle forze conservatrici e sempre attento alla conservazione degli equilibri parlamentari, al punto da sacrificare progetti anche importanti quando si rivelassero incompatibili con la solidità della maggioranza: tipico fu il caso della riforma fiscale, che fu lasciata cadere nonostante costituisse, fin dal 1892, uno dei punti qualificanti del programma di Giolitti.
Furono invece condotte in porto, nel 1904, le prime importanti "leggi speciali" per il Mezzogiorno: quella per la Basilicata e quella per Napoli, volte a incoraggiare la modernizzazione dell'agricoltura e, nel caso di Napoli, lo sviluppo industriale mediante una serie di stanziamenti statali e di agevolazioni fiscali e creditizie. Queste leggi - cui seguirono altre analoghe per la Calabria e per le isole - avevano il limite di non incidere se non limitatamente sulla struttura sociale del Mezzogiorno, di curare dunque più i sintomi che le cause del male; ma avevano almeno il vantaggio di essere attuabili in tempi brevi (la legge per Napoli, ad esempio, rese possibile la costruzione del centro siderurgico di Bagnoli) e costituirono un precedente cui si sarebbe ispirata, anche in tempi recenti, la pratica degli "interventi speciali" dello Stato nelle aree depresse.
Un altro importante progetto elaborato da Giolitti nel 1904-5 fu quello relativo alla statizzazione delle ferrovie, ancora affidate alla gestione di compagnie private. Il progetto, che riprendeva quello presentato nel 1876 da Minghetti e non approvato dalla Camera (su questo episodio, come si ricorderà, era maturata la caduta della Destra storica), incontrò però diffuse opposizioni sia a destra sia a sinistra: i socialisti, in particolare, lo avversarono perché prevedeva il divieto di sciopero per i ferrovieri una volta diventati dipendenti pubblici. Di fronte a queste difficoltà, Giolitti si dimise con un pretesto lasciando la guida del governo ad Alessandro Fortis secondo una tattica che avrebbe messo in atto anche successivamente (nel 1909-11) e che consisteva nell'abbandonare le redini del potere nei momenti difficili per poi riprenderle in condizioni più favorevoli, fidando sul controllo della maggioranza parlamentare. Fortis restò al governo meno di un anno: il tempo necessario per condurre in porto la legge sulla statizzazione delle ferrovie. E vita ancora più breve (tre mesi) ebbe il successivo ministero guidato da Sidney Sonnino, che si presentava come il più autorevole antagonista di Giolitti in campo liberale ma non disponeva di un seguito parlamentare abbastanza solido.
Nel maggio 1906 Giolitti tornò alla guida del governo e vi restò ininterrottamente per tre anni e mezzo. Il "lungo ministero Giolitti" si aprì sotto buoni auspici sul piano economico: nel giugno del 1906 fu realizzata la cosiddetta conversione della rendita, ossia la riduzione del tasso di interesse versato dallo Stato ai possessori di titoli del debito pubblico, un provvedimento che serviva a ridurre gli oneri gravanti sul bilancio statale. Il successo dell'operazione si manifestò nel fatto che solo pochi detentori di titoli si valsero della facoltà di esigere l'immediato rimborso delle somme prestate: segno evidente della fiducia dei risparmiatori nella finanza pubblica.
La congiuntura favorevole che durava dal 1896 si interruppe però nel 1907, quando si manifestarono anche in Italia i sintomi di una crisi internazionale (
17.2) che si tradusse in forti difficoltà per le banche e per le imprese che dipendevano dai loro crediti. La crisi fu superata in tempi relativamente brevi, grazie anche al tempestivo intervento della Banca d'Italia (che vide rafforzato in questa occasione il suo ruolo di controllo del sistema creditizio). Già dal 1908 la crescita riprese, anche se con ritmi rallentati rispetto al decennio 1897-1906. Ma le lotte sociali conobbero un brusco inasprimento. E l'atteggiamento degli industriali - che in questo periodo cominciarono a unirsi in associazioni padronali per poi dar vita, nel 1910, alla Confederazione italiana dell'industria (Confindustria) - si fece più duro nei confronti della controparte operaia e più diffidente rispetto alle iniziative sociali dei pubblici poteri: il che contribuì certamente a frenare l'azione riformatrice del governo.
Nel dicembre del 1909 Giolitti attuò una nuova "ritirata strategica", aprendo la strada a un secondo governo Sonnino, destinato anch'esso a vita brevissima, e a un successivo governo Luzzatti, che avviò fra l'altro una importante riforma scolastica (la legge Daneo-Credaro, che avocava allo Stato, sottraendolo ai comuni, l'onere dell'istruzione elementare).
Nel marzo 1911 Giolitti tornò al governo con un programma decisamente orientato a sinistra, il cui punto cardine era la proposta di estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto trent'anni e a tutti i maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o avessero prestato servizio militare. Ciò che Giolitti proponeva, scavalcando un progetto più moderato già presentato da Luzzatti, era in pratica il
suffragio universale maschile, ormai in vigore del resto in buona parte dei paesi europei. Un altro punto importante del programma giolittiano era l'istituzione di un monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, i cui proventi sarebbero serviti a finanziare il fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia per i lavoratori.
La legge sull'allargamento del suffragio e quella sul monopolio delle assicurazioni, approvate nel 1912, rappresentarono il punto più alto del riformismo di Giolitti. Ma il loro significato politico fu oscurato, e in qualche modo controbilanciato, dalla contemporanea decisione del governo di precedere alla conquista della Libia: una vicenda che, come vedremo più avanti, contribuì non poco ad alterare i tradizionali equilibri politici e a mettere in crisi l'intero "sistema" giolittiano.
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