1.5 La Restaurazione in Italia
In Italia, la restaurazione dei vecchi Stati e delle vecchie dinastie comportò un arresto, o quanto meno un rallentamento di quel processo di sviluppo civile - e anche di unificazione territoriale - che si era avviato, sia pur in forme parziali e contraddittorie, durante l'età napoleonica.
In alcuni Stati il tentativo di cancellare ogni traccia di queste esperienze fu portato avanti con assoluta intransigenza e con una buona dose di fanatismo. Fu questo soprattutto il caso del Piemonte, dove il re Vittorio Emanuele I abrogò in blocco la legislazione napoleonica, epurò drasticamente la pubblica amministrazione, ristabilì il controllo della Chiesa sull'istruzione e riportò in vigore le discriminazioni contro le minoranze religiose (ebrei e valdesi).
Nello Stato della Chiesa, la relativa moderazione del papa Pio VII e del segretario di Stato Cardinal Consalvi si scontrava con la linea di pura restaurazione teocratica sostenuta dall'ala intransigente del collegio cardinalizio (i cosiddetti zelanti) e dalla ricostituita (nel 1814) Compagnia di Gesù. Nonostante alcuni successi ottenuti dal segretario di Stato (l'abolizione dei diritti feudali, un parziale riordinamento dell'amministrazione e del sistema fiscale), la linea intransigente finì col prevalere, soprattutto dopo il 1822, quando Pio VII morì e Consalvi fu allontanato senza aver realizzato il suo principale obiettivo, che era quello di aprire ai laici l'accesso alle più alte cariche pubbliche.
Simile per molti aspetti a quella dello Stato pontificio era la situazione del Regno delle due Sicilie, dove la linea moderata del primo ministro Luigi de' Medici - che mirava alla riconciliazione fra i fedelissimi del re e gli uomini del decennio murattiano - dovette misurarsi con le tendenze apertamente reazionarie impersonate dal ministro di polizia, principe di Canosa, e dallo stesso re Ferdinando I. Grazie soprattutto all'appoggio del governo austriaco - che esercitava una stretta tutela su quello napoletano e che impose nel 1816 l'allontanamento del Canosa - il primo ministro riuscì per un quinquennio a portare avanti la sua politica ispirata ai princìpi del dispotismo illuminato settecentesco. La legislazione antifeudale fu mantenuta ed estesa anche alla Sicilia. Lo Stato fu unificato dal punto di vista amministrativo, quando assunse nel 1816 il nuovo nome di Regno delle due Sicilie: un'opera di cauta razionalizzazione, che però, oltre a suscitare la protesta autonomistica della nobiltà siciliana, non comportò alcuna liberalizzazione in campo politico e culturale né alcun accenno di modernizzazione economica.
Da questo punto di vista, le cose andavano meglio nei territori direttamente amministrati dall'Austria e negli Stati minori del Centro-Nord da essa controllati. In Toscana, il granduca Ferdinando III e i suoi ministri (come Vittorio Fossombroni e Neri Corsini) si riallacciarono alla miglior tradizione dell'assolutismo illuminato. Particolari cure furono dedicate al progresso dell'agricoltura, sempre caratterizzata dalla prevalenza della mezzadria. E anche il dibattito politico-culturale poté svilupparsi in un clima di relativa tolleranza: la rivista "L'Antologia", fondata nel 1821 da Gian Pietro Vieusseux e Gino Capponi, sarebbe rimasta per oltre un decennio il principale punto di riferimento per gli intellettuali liberali di tutta Italia.
Anche nel Ducato di Parma - dove furono mantenuti gli ordinamenti giuridici e amministrativi del periodo napoleonico - la politica di Maria Luisa e del suo ministro Neipperg si ispirò a criteri di moderazione e di buon governo. Oscillante e contraddittorio, fino a sfociare in episodi di aperta reazione, fu invece l'indirizzo seguito da Francesco IV nel Ducato di Modena.
Una miscela di autoritarismo e di buona amministrazione caratterizzò la dominazione austriaca nel Lombardo-Veneto. La Lombardia continuò a essere la regione economicamente più avanzata d'Italia, nonostante fosse sottoposta a un regime fiscale e doganale che ne ostacolava gravemente lo sviluppo. Rispetto alle altre regioni italiane, compreso il Veneto, la Lombardia poteva contare su ampie zone di agricoltura moderna, condotta con criteri capitalistici, su alcuni nuclei di industria, soprattutto nel settore tessile, su una rete di comunicazioni interne abbastanza efficiente, su un sistema di istruzione pubblica relativamente progredito. Inoltre, lo stretto controllo esercitato dalle autorità austriache sulla vita politica e intellettuale non impediva il manifestarsi di una vivace attività culturale, che aveva le sue radici nella tradizione dell'Illuminismo settecentesco (quella di Parini, dei Verri e di Beccaria), ancora viva fra la borghesia e l'aristocrazia di orientamento liberale.
Dall'incontro fra questa tradizione e i nuovi fermenti della cultura romantica ebbe origine l'esperienza, breve ma significativa, della rivista "Il Conciliatore". Nata nel settembre 1818 e soppressa un anno dopo per l'intervento della censura imperiale, la rivista svolse un ruolo importante, sia come espressione delle correnti liberali e patriottiche (rappresentate da intellettuali militanti come Giovanni Berchet e Silvio Pellico, ma anche da esponenti dell'aristocrazia come Federico Confalonieri e Luigi Porro Lambertenghi), sia come finestra aperta sulle tendenze più avanzate della cultura europea.
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