35.6 La Cina dopo Mao
In Cina la fine degli anni '70 ha visto compiersi un processo di radicale revisione interna, simile per alcuni aspetti a quello avviato in Urss dopo la morte di Stalin. Artefice principale della demaoizzazione è stato
Deng Xiaoping, anziano esponente del gruppo dirigente "storico" del comunismo cinese, emarginato ai tempi della rivoluzione culturale perché fautore della linea moderata ed emerso progressivamente dopo il '76 come il vero leader del paese.
Nel giro di pochi anni, Deng ha capovolto la linea rigorosamente collettivista ed egualitaria di Mao Tse-tung e ha promosso una serie di profonde modifiche nella gestione dell'economia: sono state reintrodotte le differenze salariali e aumentati gli incentivi per i lavoratori; la direzione delle aziende è stata ricondotta a criteri di efficienza; è stata incoraggiata l'importazione di tecnologia dai paesi più sviluppati; i contadini hanno avuto la possibilità di coltivare i propri fondi e di venderne i prodotti sul mercato libero; in generale, sono stati introdotti nel sistema elementi di economia di mercato, soprattutto in materia di formazione dei prezzi. Quella che si è avviata in Cina è dunque una trasformazione di vasto respiro, che ha provocato notevoli mutamenti nella stratificazione sociale (si sono formati, come nella Russia della Nep, nuovi strati privilegiati di manager, piccoli imprenditori agricoli, tecnici e commercianti) e anche nella mentalità e nel costume, con la penetrazione di modelli di tipo "consumistico" soprattutto fra le generazioni più giovani.
Proprio il contrasto fra una modernizzazione economica per molti aspetti traumatica (e non priva di costi sociali, in termini di disoccupazione e di migrazioni interne) e il mantenimento della struttura burocratico-autoritaria del potere è stato all'origine, alla fine degli anni '80, di un nuovo e spontaneo fenomeno di protesta. Protagonisti della protesta - cui certo non era estranea l'eco dei processi riformatori in atto in Unione Sovietica (
35.10) - sono stati gli studenti dell'università di Pechino, che hanno dato vita, nella primavera dell'89, a una serie di imponenti e pacifiche manifestazioni di piazza per chiedere più libertà e più democrazia. Dopo qualche vano tentativo di dialogo, il gruppo dirigente comunista guidato dal vecchio Deng Xiaoping e dal primo ministro Li Peng - preoccupato anche per l'estendersi delle manifestazioni ad altre città della Cina - ha risposto con una brutale repressione militare, con una serie di pesanti condanne e con l'epurazione degli elementi riformisti che facevano capo al segretario del partito Zhao Ziyang. L'intervento dell'esercito nella piazza Tienanmen (giugno '89) si è risolto in un vero e proprio massacro, che ha suscitato reazioni sdegnate in tutto il mondo democratico e, in un primo tempo, si è riflesso negativamente sui rapporti commerciali con l'Occidente, indispensabili alla modernizzazione del paese. Le relazioni economiche sono state successivamente ristabilite, anche per l'interesse dei paesi industrializzati nei confronti di un mercato potenzialmente enorme e di un'economia che, nel decennio '80-90, ha saputo raddoppiare il suo prodotto. Il regime cinese è riuscito così a sopravvivere al grande ciclone che ha investito l'intero mondo comunista alla fine degli anni '80.
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