8.2 Ottimismo borghese e cultura positiva
Fermamente convinto della validità dei suoi princìpi e fiducioso nelle proprie capacità, il borghese europeo della seconda metà dell'800 era altresì animato da una robusta fede nel progresso generale dell'umanità. Questo diffuso ottimismo poggiava soprattutto su due pilastri: lo sviluppo economico e le conquiste della scienza.
Negli anni 1850-70, la chimica, la fisica, la biologia e tutte le scienze della natura non solo conobbero importanti progressi teorici (furono questi gli anni delle scoperte di Maxwell sull'elettricità, delle ricerche di Pasteur sui microrganismi, della formulazione da parte di Mendel delle leggi sui caratteri ereditari), ma tornarono a occupare, come nell'età dell'illuminismo, una posizione di preminenza nell'ambito della cultura europea. Sui progressi della scienza si fondò essenzialmente quella nuova corrente intellettuale, il
positivismo, che cominciò ad affermarsi verso la metà del secolo e venne poi allargando la sua influenza fino a improntare di sé una lunga stagione della cultura occidentale, a diventare una sorta di mentalità diffusa, un metodo generale di ricerca e di interpretazione della realtà.
Il positivismo fu prima di tutto un indirizzo filosofico che considerava la conoscenza scientifica - quella basata su dati reali, positivi - come la sola valida e applicava i metodi delle scienze naturali allo studio di tutti i campi dell'attività umana, dall'arte all'economia, dalla psicologia alla politica. Il pensatore francese Auguste Comte, vissuto nella prima metà del secolo, fu il padre riconosciuto della nuova filosofia e il primo a tracciare i lineamenti di una "scienza della società", ossia della moderna sociologia. Il filosofo inglese Herbert Spencer, più giovane di una generazione, ne elaborò un'interpretazione in chiave evoluzionistica, che incontrò notevole fortuna soprattutto nel mondo anglosassone. Dal settore degli studi filosofici il positivismo venne allargando la sua influenza a tutti gli altri campi del sapere. Fra i maggiori esponenti della cultura positivista si annoveravano infatti studiosi di economia e di politica, giuristi, storici, letterati e soprattutto scienziati.
Il rappresentante più tipico e più popolare del nuovo spirito "positivo" fu appunto uno scienziato: il grande naturalista inglese
Charles Darwin, cui si deve la teoria dell'evoluzione e della selezione naturale. In un'opera dal titolo L'origine delle specie, uscita nel 1859 e diventata subito celebre, Darwin sosteneva la tesi secondo cui tutti gli esseri viventi si evolvono per adattarsi agli stimoli dell'ambiente che li circonda. L'evoluzione si realizza attraverso un processo di selezione naturale che determina la sopravvivenza o la scomparsa di individui e specie a seconda delle loro capacità di adattamento. L'uomo stesso, secondo Darwin, non è che il risultato dell'evoluzione di organismi inferiori, l'ultimo anello di una catena biologica che procede, senza soluzione di continuità, dai protozoi fino ai mammiferi più complessi.
Pur muovendosi in un ambito prettamente scientifico, le teorie darwiniane influenzarono in larga misura il dibattito filosofico; e, ciò che più conta, agirono in profondità sulle convinzioni e sulla mentalità delle classi colte e sulla stessa cultura popolare. La teoria evoluzionistica contraddiceva le credenze religiose sulla creazione dell'uomo direttamente ad opera della divinità e forniva gli elementi per una storia del genere umano radicalmente alternativa a quella offerta dalle Sacre Scritture. In questo modo il darwinismo si inseriva nel quadro più generale della cultura "positiva", che tendeva a liberare l'uomo da ogni forma di condizionamento soprannaturale, a immergerlo completamente nel mondo della natura, a sostituire le certezze delle religioni rivelate con quelle delle scienze esatte.
Dal punto di vista ideologico-politico, il positivismo poteva dar luogo a esiti diversi e talora opposti: fortemente conservatori in Comte, che teorizzava un sistema politico autoritario e gerarchico, apertamente progressisti in Spencer e in altri pensatori anglosassoni (come John Stuart Mill), che pensavano invece a una società organizzata democraticamente e aperta alle esigenze del riformismo sociale. Lo stesso darwinismo fu letto e sviluppato in modi molto diversi. Se da un lato la teoria dell'evoluzione si prestava a essere interpretata in chiave ottimistica, come prova della possibilità di progresso indefinito della specie umana, dall'altro il principio della selezione naturale poteva essere utilizzato per consacrare il diritto del più forte nei rapporti fra gli individui e fra le classi (si parlò a questo proposito di "darwinismo sociale"), e anche fra gli Stati.
Quel che è certo comunque è che, nella seconda metà dell'800, il positivismo fu l'ideologia tipica della borghesia in ascesa; e che, nelle sue diverse espressioni, esso contribuì potentemente ad alimentare la fiducia nel progresso dell'umanità e a sostenere la convinzione di poter controllare, grazie alla scienza, il corso della natura e degli stessi processi sociali.
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