16.10 La nascita del Partito socialista
Gli anni fra il 1887 e il 1893 segnarono una fase decisiva nella storia del movimento operaio italiano. La crisi economica che colpì l'Italia in quegli anni accrebbe la combattività dei nuclei proletari più organizzati e costituì un'ulteriore spinta verso la ricerca di forme associative più mature. Sorsero in questi anni le prime federazioni di mestiere a carattere nazionale, quella degli edili e quella dei tipografi. Nel 1891 fu fondata a Milano, per iniziativa di Osvaldo Gnocchi Viani, la prima Camera del lavoro, e altre se ne costituirono negli anni seguenti in numerosi centri del Nord. Mentre le federazioni servivano a coordinare le lotte delle singole categorie su tutto il territorio nazionale e avevano scopi essenzialmente rivendicativi, le Camere del lavoro riunivano le diverse categorie di uno stesso centro (o di una stessa provincia) e avevano come funzione principale quella di regolare il collocamento della manodopera.
In questi stessi anni, si accelerò anche la penetrazione del socialismo fra i lavoratori della terra nelle province padane che erano state toccate dai processi di trasformazione capitalistica dell'agricoltura. Grazie all'opera instancabile di alcuni organizzatori socialisti di estrazione intellettuale e borghese, si sviluppò su basi più solide quel movimento associativo fra i braccianti e i contadini che aveva fatto le sue prime prove nelle grandi agitazioni degli anni '81-'85. L'organizzazione più diffusa era la lega di resistenza fra i braccianti. Ma notevole sviluppo ebbero anche le cooperative, soprattutto quelle di lavoro che in alcuni casi, come nel Ravennate, ottennero appalti di lavori pubblici e di opere di bonifica.
Si poneva a questo punto, per tutto il movimento di classe, il problema di una organizzazione politica unitaria capace di guidare e di coordinare le lotte a livello nazionale e di offrire alle diverse componenti una base politica e programmatica comune, secondo l'esempio che veniva dalla socialdemocrazia tedesca. Non era però una strada facile da seguire per il movimento operaio italiano, che soffriva di una notevole frammentazione organizzativa (oltre agli operaisti lombardi e ai "socialisti rivoluzionari" romagnoli, erano ancora attivi gli internazionalisti anarchici e i repubblicani delle società operaie "affratellate") e di uno scarso grado di maturazione ideologica. Le opere di Marx erano poco conosciute e le sue teorie erano spesso interpretate in chiave positivistica, quasi come una integrazione sul piano economico delle dottrine di Darwin e Spencer. L'unico autentico e originale teorico marxista che allora operasse in Italia era il filosofo napoletano Antonio Labriola. Giunto al socialismo dall'idealismo hegeliano, amico e corrispondente di Engels, Labriola contribuì non poco alla conoscenza del pensiero di Marx in Italia; ma rimase, per il suo stesso rigore teorico, una figura relativamente isolata fra i leader socialisti, formatisi tutti nel clima del positivismo evoluzionistico allora dominante nei circoli intellettuali e nelle università.
Fu comunque proprio un intellettuale di formazione positivistica, l'avvocato e pubblicista milanese
Filippo Turati, il principale protagonista delle vicende che portarono alla fondazione del Partito socialista italiano. Nato nel 1857 da una famiglia dell'alta borghesia lombarda, Turati aveva militato da giovane nelle file della democrazia radicale. Decisivo per la sua formazione politica, oltre che per la sua vicenda umana, era stato l'incontro con Anna Kuliscioff, una giovane esule russa che aveva già alle spalle una notevole esperienza politica e una larga conoscenza del mondo socialista europeo. Ma non meno decisivo fu il contatto con l'ambiente operaio di Milano, già allora indiscussa capitale economica d'Italia e sede degli esperimenti più avanzati di associazionismo fra i lavoratori. L'adesione di Turati al socialismo fu meno rigorosa, sul piano teorico, rispetto a quella di Labriola, ma ugualmente sicura nelle scelte politiche di fondo: l'affermazione dell'autonomia del movimento operaio dalla democrazia borghese; la ripulsa dell'insurrezionismo anarchico; il riconoscimento del carattere prioritario delle lotte economiche; l'esigenza di collegare queste lotte con quelle politiche, e di inquadrarle in un progetto generale che aveva come obiettivo finale la socializzazione dei mezzi di produzione. Su questa piattaforma Turati e la Kuliscioff diedero vita, nel 1889, a una Lega socialista milanese, aperta a tutte le forze socialiste con esclusione degli anarchici. Dalla Lega milanese partì, nel 1891, la proposta di un congresso nazionale dei lavoratori italiani, avente per scopo la costituzione di un nuovo partito.
Nell'agosto del 1892 si riunirono così a Genova i delegati di circa trecento fra società operaie, leghe contadine, circoli politici e associazioni di varia natura. Subito si delineò la frattura tra una maggioranza favorevole all'immediata costituzione del partito e una minoranza contraria, formata dagli anarchici e da una parte degli operaisti. Vista l'impossibilità di trovare un accordo, i delegati della maggioranza, guidati da Turati, abbandonarono la sala del congresso e, riunitisi in altra sede, dichiararono costituito il Partito dei lavoratori italiani, approvandone subito il programma e lo statuto. Il programma indicava come fine la "gestione sociale" dei mezzi di produzione e, come mezzo atto a raggiungerlo, "l'azione del proletariato organizzato in partito [...] esplicantesi sotto il doppio aspetto: 1) della lotta di mestieri per i miglioramenti immediati della vita operaia [...]; 2) di una lotta più ampia intesa a conquistare i poteri pubblici [...]".
Il nuovo partito - che solo l'anno seguente avrebbe modificato il suo nome in Partito socialista dei lavoratori italiani, per assumere poi, nel 1895, quello definitivo di
Partito socialista italiano - poteva contare su un ampio arco di adesioni. Si schierarono infatti con Turati quasi tutti i "socialisti rivoluzionari" romagnoli, gli operaisti meno legati ai vecchi schemi corporativi e un folto gruppo di repubblicani "collettivisti" convertitisi di recente al socialismo. Nonostante l'eterogeneità delle sue componenti, il partito si sarebbe rivelato abbastanza compatto e vitale da resistere all'ondata repressiva scatenatasi dopo il ritorno di Crispi al potere.
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