23.3 Il biennio rosso
Tra la fine del 1918 e l'estate del 1920, il movimento operaio europeo, uscito dalla forzata compressione degli anni di guerra, fu protagonista di un'impetuosa avanzata politica che assunse a tratti l'aspetto di una grande ventata rivoluzionaria. I partiti socialisti registrarono quasi ovunque notevoli incrementi elettorali. I lavoratori organizzati dai sindacati - ma spesso anche fuori dal loro controllo - diedero vita a un'imponente ondata di agitazioni che consentì agli operai dell'industria di difendere o migliorare i livelli reali delle loro retribuzioni e di ottenere fra l'altro la riduzione dell'orario di lavoro a otto ore giornaliere a parità di salario: un obiettivo che da trent'anni figurava al primo posto nei programmi del movimento socialista e che fu raggiunto quasi simultaneamente, subito dopo la fine della guerra, in tutti i principali Stati europei.
La grande ondata di lotte operaie del biennio rosso non si esaurì, però, nelle rivendicazioni sindacali. Alimentate dalle vicende russe, si manifestavano aspirazioni più radicali, che investivano direttamente il problema del potere nella fabbrica e nello Stato. "Fare come in Russia" divenne la parola d'ordine dei gruppi rivoluzionari, soprattutto di quelli che più attivamente si erano battuti contro la guerra. Ovunque si formarono spontaneamente consigli operai che scavalcavano le organizzazioni tradizionali dei lavoratori e che, sull'esempio dei soviet russi, si proponevano come rappresentanze dirette del proletariato e come organi di governo della futura società socialista.
L'ondata rossa del '19-'20 si manifestò nei singoli paesi in forme e con intensità diverse. Nelle due maggiori potenze vincitrici, Francia e Gran Bretagna (diverso fu, come vedremo nel prossimo capitolo, il caso dell'Italia), le classi dirigenti riuscirono a contenere senza eccessive difficoltà la pressione del movimento operaio.
Germania, Austria e Ungheria, dove le tensioni sociali si sommavano ai traumi della sconfitta e del cambiamento di regime, furono invece teatro di veri e propri tentativi rivoluzionari. Ma questi tentativi furono rapidamente stroncati. Ciò che era stato possibile in Russia, in presenza di un capitalismo debole, di una borghesia numericamente esigua, di un movimento operaio abituato alla cospirazione più che alle lotte quotidiane, non fu possibile negli altri paesi europei: dove borghesia e capitalismo non erano stati prostrati, ma piuttosto trasformati dalla guerra e dove lo stesso movimento operaio era legato a una ormai lunga esperienza di azione pacifica all'interno delle istituzioni.
La rivoluzione d'ottobre in Russia, se da un lato aveva galvanizzato le avanguardie rivoluzionarie di tutta Europa, dall'altro aveva accentuato la frattura, già manifestatasi durante la guerra, fra queste avanguardie e il resto del movimento operaio, legato ai partiti socialdemocratici e alle grandi centrali sindacali. Il contrasto - che non investiva solo problemi di tattica, ma anche questioni di fondo come il ruolo della democrazia e delle istituzioni rappresentative - fu sancito ufficialmente, già nel '19, con la costituzione dell'Internazionale comunista e, in seguito, con la fondazione in tutta Europa di nuovi partiti ispirati al modello bolscevico (
22.4). La scissione del movimento operaio, preparata e consumata nella prospettiva di un'imminente rivoluzione europea, avrebbe invece contribuito ad aprire il varco alla controffensiva conservatrice.
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