2.4 I moti del '21 in Piemonte
Il successo, sia pure precario, della rivoluzione napoletana accese le speranze dei liberali di tutta Italia e mise in fermento gli ambienti legati alle società segrete, attive soprattutto in Piemonte e in Lombardia. In queste regioni, a partire dal 1818, si era diffusa una nuova organizzazione, la Federazione italiana, che agiva in collegamento con la Carboneria e con le sette buonarrotiane, ma si differenziava dalle altre società segrete per la sua struttura più aperta e per il suo programma dichiaratamente unitario. I "Federati", che raccoglievano adesioni soprattutto nell'aristocrazia liberale, intendevano infatti far leva sulle tradizionali velleità espansionistiche del Piemonte sabaudo per giungere a una guerra contro l'Austria e alla formazione di un regno costituzionale indipendente che comprendesse l'intera Italia settentrionale.
Fino a tutto il 1820 - nel periodo cioè in cui le circostanze internazionali erano più favorevoli - questi progetti non trovarono nemmeno un principio di attuazione. Nel Lombardo-Veneto la sorveglianza poliziesca era strettissima: nell'ottobre 1820 la scoperta di un'organizzazione Carbonara portò all'arresto di Silvio Pellico e del musicista romagnolo Pietro Maroncelli. In Piemonte ogni iniziativa sul terreno rivoluzionario era frenata dalle perplessità di quei liberali moderati, come Cesare Balbo, che, pur condividendo il programma costituzionale e patriottico dei Federati, speravano di attuarlo senza scontrarsi col re.
Solo all'inizio di marzo del 1821 - quando già l'Austria si preparava a intervenire militarmente nel Napoletano - gli elementi più radicali, guidati dal conte Santorre di Santarosa, riuscirono a mettere a punto un progetto insurrezionale che poggiava sull'ammutinamento di alcuni reparti dell'esercito sabaudo. Punto di forza del complotto avrebbe dovuto essere l'adesione del principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano, nipote di Vittorio Emanuele I e probabile erede al trono, che era in contatto col Santarosa e aveva manifestato qualche simpatia per la causa liberale. Ma il principe era un personaggio contraddittorio, in cui l'aspirazione romantica a legare il suo nome a imprese memorabili si accompagnava a una personalità irresoluta e priva di salde convinzioni.
Dopo aver dato la sua adesione al progetto insurrezionale, Carlo Alberto la ritirò quando ormai era troppo tardi per fermare il moto. La rivolta scoppiò il 10 marzo nella guarnigione di Alessandria e si estese nei giorni successivi ai reparti di stanza nella capitale. Vittorio Emanuele I, piuttosto che concedere la costituzione, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice, che si trovava però in quel momento fuori dal Regno. La reggenza fu così affidata proprio a Carlo Alberto che, sotto la pressione dei democratici, si impegnò a promulgare una costituzione sul modello di quella spagnola. Ma, quando il nuovo re - più energico del fratello e altrettanto reazionario - sconfessò l'operato del reggente e gli intimò di raggiungere a Novara i reparti fedeli alla monarchia, Carlo Alberto obbedì pur dopo non poche esitazioni. Santarosa, ministro della Guerra nel governo provvisorio, cercò di organizzare la resistenza, mentre anche i Federati lombardi si mobilitavano (alcuni accorsero in Piemonte) in vista della sperata guerra patriottica: fu in questa occasione che Manzoni scrisse l'ode Marzo 1821. Ma l'8 aprile i reparti costituzionali furono facilmente battuti presso Novara dalle truppe lealiste, rafforzate da contingenti austriaci.
L'esperienza liberale in Piemonte si chiudeva così dopo meno di un mese di vita. La sua fine prematura si inquadrava del resto nella generale sconfitta delle correnti costituzionali e patriottiche, italiane ed europee, iniziata due settimane prima con la sfortunata conclusione della rivoluzione napoletana.
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