2.7 L'indipendenza greca
L'insurrezione dei greci contro il dominio turco, cominciata nel 1821 e protrattasi per quasi un decennio, fu l'unica tra le rivoluzioni degli anni '20 a concludersi con un sostanziale successo. Fu anche la sola che, pur essendo nata dall'iniziativa delle società segrete, finì con l'assumere il carattere di una guerra di popolo, nazionale e religiosa ancor prima che politica. Ma il successo della lotta per l'indipendenza greca si dovette anche e soprattutto a fattori di carattere internazionale. L'Impero turco era uno Stato non europeo (o solo in parte europeo) e non cristiano; e non rientrava nell'area di intervento della Santa alleanza. Se alcune potenze - soprattutto l'Austria e la Gran Bretagna - lo consideravano ancora un prezioso elemento di equilibrio, altre - come la Russia e la Francia - erano attratte dalle possibilità di espansione che il suo indebolimento avrebbe aperto nell'area mediterranea e nei Balcani.
In realtà l'antico Impero ottomano - con un'organizzazione statale arretratissima, in cui l'esercito rappresentava l'unica struttura efficiente - faticava sempre più a tenere uniti i suoi vastissimi possedimenti. I paesi islamici del Nord Africa, soprattutto l'Egitto, agivano di fatto come Stati autonomi, mantenendo un legame di dipendenza poco più che simbolica dal sultano (che svolgeva le funzioni di capo religioso oltre che politico). Sempre più problematico per il governo turco era poi il controllo dei popoli balcanici (greci, serbi, macedoni, albanesi, bulgari, romeni): qui mancava anche il legame religioso, dal momento che il grosso della popolazione era formato da cristiani ortodossi. Nei confronti di questi ultimi l'Impero aveva sempre praticato una politica tollerante sul piano religioso (non vi erano mai stati tentativi di assimilazione forzata), ma discriminatoria su quello politico e sociale. In tutta la penisola balcanica - salvo che nei principati "vassalli" di Moldavia e Valacchia (l'attuale Romania) - i cristiani si trovavano nella condizione del popolo soggetto: non potendo accedere alla proprietà terriera, detenuta a titolo feudale da signori turchi, erano nella grande maggioranza servi della gleba, contadini poveri, pastori nomadi dediti non di rado al brigantaggio; ma formavano anche, coi loro strati superiori, il grosso del ceto mercantile e una parte importante della burocrazia imperiale.
I primi a sollevarsi contro la dominazione ottomana, già all'inizio del secolo, furono i serbi che, dopo oltre un decennio di lotte, riuscirono, nel 1815, a cacciare i turchi e a conquistarsi un'ampia autonomia. Più importante, e più pericolosa per la stabilità dell'Impero, fu l'insurrezione greca, scoppiata nel marzo 1821, in non casuale coincidenza con le rivoluzioni di Spagna e d'Italia. I greci, infatti, più delle altre popolazioni europee soggette al dominio turco, svolgevano un ruolo chiave nella vita economica e amministrativa dell'Impero. Se la Grecia continentale era un paese estremamente arretrato, popolato, al pari delle altre regioni balcaniche, da contadini poveri e pastori, una forte borghesia mercantile e marinara si era sviluppata nelle isole dell'Egeo e nei maggiori centri costieri della stessa penisola anatolica (la Turchia attuale), come Costantinopoli e Smirne. Tra le file di questa borghesia aveva fatto numerosi proseliti la setta patriottica dell'Eteria (in greco associazione, fratellanza), nata alla fine del '700 con struttura e scopi non diversi da quelli delle altre società segrete sorte in quell'epoca, e diffusa un po' in tutto il continente tramite le folte comunità greche sparse in molti paesi europei. L'Eteria contava autorevoli aderenti persino nella corte russa (cioè in uno dei centri della reazione europea): dove lo zar Alessandro I si atteggiava a grande protettore dei cristiani ortodossi e non nascondeva le sue ambizioni espansionistiche verso il Mediterraneo orientale e la regione degli stretti.
Fu l'Eteria a organizzare l'insurrezione del '21, trovando immediata rispondenza anche tra le masse popolari. La guerriglia scatenata dai greci, per terra e per mare, fu lunga e sanguinosa. Per tentare di fermarla i turchi ricorsero a una serie di crudelissime repressioni che coinvolsero in larga misura i civili (nel marzo del '22 fu sterminata l'intera popolazione dell'isola greca di Chio) e suscitarono condanna e riprovazione in tutta Europa.
Si creò allora in favore degli insorti greci una forte corrente di opinione pubblica internazionale, in cui confluivano diverse spinte e diverse motivazioni: politico-ideologiche per i liberali e per i democratici; religiose per i cristiani (ortodossi e cattolici); essenzialmente culturali per molti intellettuali impregnati di reminiscenze della Grecia classica. Un po' ovunque si formarono comitati di solidarietà con gli insorti. Da tutta Europa accorsero in Grecia volontari per unirsi alla lotta contro i turchi: fra gli altri il poeta inglese Byron e l'italiano Santarosa, che morirono entrambi combattendo per l'indipendenza greca. La spinta dell'opinione pubblica riuscì a condizionare in qualche modo (e questo era certamente un fatto nuovo) l'operato dei governi. La Russia ruppe nel '22 le relazioni diplomatiche con la Turchia. Il governo inglese - che pure non vedeva con favore un collasso dell'Impero ottomano - riconobbe nello stesso anno la Grecia come paese belligerante. Solo l'Austria - preoccupata per le conseguenze che una rivoluzione vittoriosa avrebbe avuto sull'equilibrio europeo - rimase ferma nella difesa dello status quo e del principio di legittimità.
Frattanto la guerra si prolungava senza che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere. Isolato sul piano internazionale e indebolito dalla defezione di buona parte della marina (dove dominava l'elemento greco), il governo turco chiese e ottenne, in cambio di sostanziose concessioni territoriali, l'appoggio del più potente dei vassalli dell'Impero: il pascià d'Egitto Mohammed Alì, che disponeva di un proprio esercito e di una efficiente flotta da guerra. Grazie all'aiuto egiziano, i turchi poterono avviare, a partire dal 1825, una sistematica riconquista del territorio greco. La campagna, costellata da scontri sanguinosi e da nuovi massacri, si protrasse per due anni e si concluse, nel giugno 1827, con l'espugnazione dell'Acropoli di Atene.
A questo punto, però, le sorti ormai compromesse della rivoluzione greca furono salvate dall'intervento delle potenze europee. Nel luglio '27, su iniziativa del ministro degli Esteri inglese Canning, i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Russia si riunirono a Londra, tagliando fuori l'Austria, e decisero di imporre una mediazione alla Turchia (che in realtà aveva già vinto la guerra), appoggiando la richiesta con l'invio di una flotta nel Mar Egeo. Il 20 ottobre la flotta anglo-franco-russa si incrociò con quella turco-egiziana nella baia di Navarino, nel Peloponneso. Vi fu uno scambio di cannonate - cominciato, sembra, fortuitamente - e quindi una vera e propria battaglia che si concluse con la completa distruzione della flotta turca. Lo scontro, non voluto da nessuno dei contendenti, fece comunque cadere ogni ipotesi di mediazione e provocò anzi una guerra fra Turchia e Russia. I turchi furono ripetutamente sconfitti e costretti, nel settembre 1829, a firmare la pace di Adrianopoli. Con questa pace, e col successivo protocollo di Londra (febbraio 1830), l'Impero ottomano non solo cedeva alla Russia alcuni territori di confine, ma accettava la piena indipendenza della Grecia e riconosceva ufficialmente l'autonomia di Serbia, Moldavia e Valacchia.
Al nuovo Regno di Grecia, che nasceva con una estensione molto limitata rispetto agli attuali confini del paese (e all'area anche allora abitata da popolazioni greche), le grandi potenze imposero un regime monarchico-assolutista e un sovrano tedesco, Ottone di Wittelsbach, secondogenito del re di Baviera. La soluzione della questione greca rappresentò tuttavia un precedente di grande importanza per le lotte di indipendenza nazionale dell'800 e un colpo durissimo per l'equilibrio conservatore europeo: in particolare per la Santa alleanza, che sulla crisi greco-turca si era irrimediabilmente spaccata.
Per l'Impero ottomano (ulteriormente indebolito, nell'estate del 1830, dall'occupazione di Algeri da parte della Francia, che iniziava così la sua penetrazione coloniale in Nord Africa) la sconfitta fu la conferma di una lunga crisi, in atto ormai da oltre un secolo e destinata a protrarsi per altri cent'anni. Da questa crisi, e dalle velleità espansionistiche che essa suscitava fra le potenze europee, si sarebbe alimentata quella
questione d'Oriente che avrebbe avuto una parte di grande rilievo nella storia della politica internazionale fino alla prima guerra mondiale.
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