3.2 L'indipendenza dell'America Latina
Alla fine del '700, l'America Latina svolgeva un ruolo di notevole importanza nell'economia mondiale, non più soltanto come produttrice di metalli preziosi, ma anche come fornitrice di molti prodotti agricoli (zucchero di canna, cacao, tabacco e, più tardi, caffè) destinati a soddisfare le nuove abitudini di consumo che si erano diffuse in quel secolo fra le classi alte europee. Diverse, nelle varie zone, erano le colture e i metodi di conduzione della terra. Ma comune era la prevalenza delle aziende di grandi dimensioni, che impegnavano manodopera indigena in condizione servile o semiservile, oppure si basavano - come nel caso delle piantagioni brasiliane e cubane - sul lavoro di schiavi neri "importati" dall'Africa.
Comune, in larga misura, era anche la stratificazione sociale, che coincideva quasi perfettamente con la divisione razziale. Al vertice stavano i 4.350.000 creoli (criollos), ossia i bianchi di origine europea, discendenti dalle prime generazioni di coloni. In basso c'erano gli oltre 8 milioni di indios (in fase di netta ripresa demografica dopo lo sterminio subito nella prima fase della colonizzazione), la cui condizione variava da quella di servo a quella di salariato o, più di rado, di contadino povero. I neri, presenti soprattutto in Brasile e nelle Antille, erano più di 4 milioni. I meticci (poco più di 6 milioni) occupavano le fasce sociali medio-basse e lavoravano nell'artigianato, nel piccolo commercio o nella conduzione delle aziende agricole, alle dipendenze di proprietari creoli.
La spinta all'indipendenza venne non dagli strati inferiori (le rivolte degli indios, che pure si verificarono con una certa frequenza nel '700, erano dirette contro i proprietari terrieri, più che contro il potere lontano e impersonale delle monarchie europee), ma dagli stessi creoli, desiderosi di liberarsi dal controllo dei funzionari governativi inviati dall'Europa e insofferenti dei vincoli che il legame con la madrepatria poneva ai loro commerci. Queste aspirazioni si manifestarono già alla fine del '700, in seguito all'eco suscitata dalla rivoluzione americana e, più in generale, alla diffusione degli ideali illuministi, a cui contribuì, anche in America Latina, una fitta rete di società segrete (soprattutto "logge" massoniche).
L'occasione per tradurre in atto le aspirazioni all'indipendenza si presentò con l'invasione della Spagna da parte di Napoleone. A partire dal 1808, le colonie spagnole furono di fatto governate da giunte locali in mano all'elemento creolo. Nate con lo scopo di sopperire a un vuoto di potere - ma anche di testimoniare la fedeltà delle colonie al sovrano legittimo, contro l'usurpazione bonapartista - le giunte divennero presto centri di rivendicazione indipendentista. Nel 1810, dopo che i francesi ebbero scacciato la dinastia borbonica dalla Spagna, le giunte di alcune delle principali città latino-americane (Caracas, Buenos Aires, Santiago del Cile, Bogotà) deposero i rappresentanti della monarchia e assunsero i poteri di governo. Nel 1811 la giunta di Caracas, sotto la guida di Francisco Miranda (un ufficiale che aveva combattuto nelle rivoluzioni americana e francese), proclamò l'indipendenza della Repubblica del Venezuela. Cominciava così una lunga lotta di liberazione combattuta con fasi alterne in tutto il continente dai movimenti indipendentisti creoli - non di rado divisi e in contrasto fra loro - contro le forze spagnole ancora presenti in America Latina, che spesso si giovarono dell'appoggio delle popolazioni indie. Un caso a parte fu quello del Messico, dove la rivolta contro gli spagnoli assunse subito la forma di una guerra sociale, di cui furono protagonisti proprio i contadini indios, guidati da due sacerdoti, Hidalgo e Morelos.
La lotta di liberazione subì una grave battuta d'arresto nel 1814-15, in coincidenza con la restaurazione della monarchia spagnola e con l'invio dall'Europa di nuove truppe, che in breve riconquistarono quasi tutte le zone controllate dai ribelli. Ma la guerra riprese con rinnovata intensità a partire dal 1816, grazie anche all'indiretto appoggio della Gran Bretagna che, interessata a subentrare alla Spagna nel ruolo di principale partner commerciale del Sud America, si oppose all'ipotesi di un intervento delle potenze europee in sostegno della monarchia spagnola.
In questa seconda fase, due furono i centri principali del movimento indipendentista: a Nord, i paesi della costa dei Caraibi (Venezuela e Nueva Granada, ossia l'attuale Colombia) dove, dopo la cattura e la morte di Miranda, la guida della lotta fu assunta da
Simon Bolívar, un creolo di grandi capacità politiche e militari; a Sud le province del Río de la Plata (l'attuale Argentina) dove era attivo
José de San Martín, un ufficiale spagnolo passato dalla parte dei ribelli. Nel 1816 i patrioti argentini, riuniti in congresso a Tucumán, proclamarono l'indipendenza del loro paese. Nel 1817, dopo un'epica marcia attraverso le Ande, le forze di San Martín liberarono il Cile (che fu dichiarato indipendente nel 1818). Contemporaneamente Bolívar riprendeva l'azione nelle province settentrionali, sconfiggendo ripetutamente gli spagnoli e dando vita, nel 1819, alla Repubblica di Gran Colombia.
La terza e ultima fase della guerra cominciò nel 1820, quando la rivoluzione liberale scoppiata in Spagna, interrompendo l'afflusso di truppe dall'Europa, diede nuovo respiro alle forze rivoluzionarie. Contemporaneamente si faceva più aperto e consistente il sostegno economico e logistico agli insorti da parte dell'Inghilterra, mentre un nuovo importante appoggio veniva dagli Stati Uniti, che nel 1823 avrebbero proclamato, per bocca del presidente Monroe, la loro decisa opposizione a ogni intervento armato europeo sul continente americano (
3.5). Terreno di scontro, in questa fase finale del conflitto, furono i territori del Perù, ultima roccaforte dei lealisti, che furono attaccati da nord dalle forze di Bolívar e da sud da quelle di San Martín. Nel luglio 1822, i due leader si incontrarono a Guayaquil, in Ecuador. In disaccordo con Bolívar circa la condotta della guerra e la futura forma di governo delle province liberate, San Martín si ritirò in volontario esilio, lasciando al più dinamico e ambizioso dei due "libertadores" il compito di portare a termine la lotta contro il dominio coloniale. Lotta che si concluse, nel dicembre 1824, con la definitiva sconfitta degli spagnoli ad Ayachuco, in Perù.
A questo punto l'intera America Latina, salvo la Guyana e le isole dei Caraibi, era libera dal dominio europeo. Il Messico si era costituito in impero nel 1821, per iniziativa di quelle stesse forze conservatrici che, di fronte alla rivolta contadina, erano rimaste in un primo tempo fedeli alla Spagna. A proclamarsi imperatore fu un generale meticcio, Augustín Iturbide, che aveva guidato la repressione contro gli indios e che sarebbe stato deposto pochi anni dopo. Sempre nel 1821, i paesi dell'America centrale si erano dichiarati indipendenti riunendosi poi (1823) nella Federazione delle province unite dell'America centrale. Anche il Brasile portoghese - il più vasto fra i possedimenti europei in America Latina - divenne un impero indipendente nel 1822. In questo caso l'uscita dal dominio coloniale avvenne in forma pacifica: fu lo stesso erede al trono portoghese e viceré del Brasile, Pedro I, ad assumere la corona imperiale offertagli dagli indipendentisti creoli.
Torna all'indice