3.5 L'espansione territoriale degli Stati Uniti
Nella prima metà dell'800, lo sviluppo territoriale degli Stati Uniti si svolse secondo due linee direttrici. L'una, verso ovest, era la naturale conseguenza della spinta colonizzatrice dei pionieri. L'altra, rivolta soprattutto verso sud, derivava invece da una precisa strategia di espansione perseguita da tutti i governi dell'Unione, a prescindere dalle loro tendenze politiche.
La corsa verso l'Ovest era, come si è detto, un fenomeno spontaneo, dovuto alla libera iniziativa dei pionieri. Ma questa iniziativa era seguita e incoraggiata dal potere centrale, che non solo interveniva a sanzionare l'acquisizione delle nuove regioni (queste ottenevano dapprima lo status di territori, poi, una volta superati i 60.000 abitanti, potevano costituirsi in Stati ed essere ammesse nell'Unione), ma appoggiava militarmente i coloni nei frequenti conflitti che li opponevano alle tribù indiane.
Quelle indiane erano per lo più popolazioni nomadi. Vivevano in accampamenti mobili e si sostentavano principalmente con la caccia (ma vi erano anche tribù più progredite, come i Creek, i Cherokee, i Seminole, che praticavano un'agricoltura stanziale). La loro consistenza numerica, non facilmente accertabile, si era ridotta, dall'inizio della colonizzazione, a poche centinaia di migliaia. La convivenza fra indiani e coloni fu sin dall'inizio difficile. Gli indiani, abituati a muoversi liberamente in grandi spazi, mal sopportavano gli insediamenti agricoli dei bianchi, che sottraevano loro terre e selvaggina. I coloni consideravano la presenza degli indiani come un pericolo oggettivo per la propria sicurezza e per quella delle vie di comunicazione e cercavano di allontanarli con ogni mezzo. Dopo una serie di sanguinosi conflitti (particolarmente crudeli furono le guerre indiane condotte nelle regioni del Sud contro i Creek e i Seminole durante la presidenza Jackson), i pellirosse furono costretti a emigrare in massa nelle zone a ovest del Mississippi, giudicate inospitali e poco adatte agli insediamenti agricoli. Ma, nella seconda metà del secolo, sotto la spinta di nuove ondate di coloni, anche questa frontiera sarebbe stata superata; e le guerre indiane si sarebbero protratte fin quasi alla fine dell'800.
Per quanto riguarda il secondo tipo di espansione - quella condotta direttamente dal potere statale - essa ebbe inizio ai primi dell'800. Più esattamente, nel 1803, quando il presidente Jefferson, profittando delle difficoltà militari e finanziarie in cui allora si trovava l'Impero napoleonico, acquistò dalla Francia, per 15 milioni di dollari, la colonia della Louisiana: una vasta regione che si affacciava sul golfo del Messico. Nel 1812, in seguito a una lunga serie di contrasti commerciali e di contestazioni di frontiera, gli Stati Uniti dichiaravano guerra alla Gran Bretagna, con l'obiettivo di conquistare il Canada e di eliminare così la presenza inglese dal continente. Ma la guerra si risolse in un insuccesso; e la pace di Gand del 1814 riconfermò i vecchi confini, inaugurando una lunga e ininterrotta stagione di buoni rapporti fra Stati Uniti e Impero britannico. Bloccata l'espansione a nord, la crescita verso sud proseguì nel 1819 con l'acquisto della Florida, ceduta dalla Spagna: anche in questo caso gli Stati Uniti si giovarono delle difficoltà in cui versava il loro interlocutore, allora alle prese con la rivolta delle colonie latino-americane.
Fu proprio la lotta per l'indipendenza dell'America Latina a fornire agli Stati Uniti l'occasione per affermare il loro ruolo di potenza emergente e di garante dell'equilibrio continentale. In un messaggio al Congresso del dicembre 1823, il presidente James Monroe dichiarava che da quel momento in poi il continente americano non doveva essere considerato "oggetto di futura colonizzazione da parte di nessuna potenza europea" (un principio riassunto nella formula "l'America agli americani"); e che gli Stati Uniti, mentre si impegnavano ad astenersi da qualsiasi intromissione negli affari europei, consideravano come un atto ostile nei propri confronti ogni intervento europeo in America. La proclamazione di questi princìpi - noti da allora come dottrina Monroe - ebbe immediato riscontro nella realtà, quando, nel 1824, la lotta di liberazione delle colonie latino-americane si compì senza che le potenze conservatrici europee intervenissero in appoggio alla Spagna. Gli Stati Uniti - una volta stabiliti buoni rapporti con la Gran Bretagna - si trovavano così, oggettivamente, nella posizione di potenza egemone in un continente ormai occupato quasi esclusivamente da Stati indipendenti, tutti più o meno deboli e instabili.
Uno di questi Stati, il Messico (che al momento dell'indipendenza occupava ancora vaste regioni del Nord America oggi appartenenti agli Usa) dovette subire direttamente la pressione espansionistica del potente vicino. Oggetto principale del contrasto fu il Texas che, diventato meta di una forte immigrazione proveniente dal Sud degli Stati Uniti, si staccò nel 1836 dal Messico e si costituì in repubblica indipendente, per essere poi, nel '45, ammesso nell'Unione. Ne seguì una guerra fra gli Stati Uniti e il Messico, guerra che durò tre anni (dal 1845 al 1848) e si concluse con una netta vittoria degli Usa. Il Messico fu costretto a cedere i suoi possedimenti della parte continentale del Nord America (sui quali esercitava peraltro una sovranità poco più che teorica). Gli Stati Uniti si impadronivano di tutti quei vastissimi territori (oltre 2 milioni di chilometri quadrati), che si estendevano dal golfo del Messico fino alla costa del Pacifico. Particolarmente importante si rivelò l'acquisto della California, dove, in quello stesso 1848, furono scoperti importanti giacimenti auriferi. La corsa all'oro che si sarebbe scatenata negli anni successivi, con l'accorrere in California di cercatori e pionieri provenienti da tutto il mondo, avrebbe contribuito ad accelerare la colonizzazione dei nuovi territori.
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