4.3 La rivoluzione di luglio e l'Europa
Con il successo dell'insurrezione di luglio e la cacciata di Carlo X, la Francia aveva cessato di essere uno dei pilastri dell'ordine conservatore: anzi proclamava, per bocca dei suoi nuovi governanti, la sua ostilità a ogni intervento straniero nelle vicende interne di altri paesi. Era dunque naturale che la rivoluzione parigina aprisse nuovi spazi all'iniziativa delle forze liberali e democratiche europee, rimasta bloccata dopo la sconfitta dei moti degli anni '20.
Il primo scossone si ebbe in Belgio, a meno di un mese dall'insurrezione di luglio. Il Belgio, paese compattamente cattolico e per larga parte di lingua francese, era stato annesso, per decisione del congresso di Vienna, al Regno dei Paesi Bassi, dopo essere stato soggetto per oltre un secolo alla corona asburgica. L'unione con un popolo protestante, che, pur essendo meno numeroso, occupava tutte le posizioni dominanti dello Stato, aveva però suscitato nel paese un profondo malcontento. Il 25 agosto l'insurrezione scoppiò a Bruxelles e si diffuse nelle settimane successive in tutto il Belgio. Il governo olandese, non riuscendo a domare la rivolta, chiese l'aiuto delle grandi potenze. Ma Francia e Gran Bretagna si opposero risolutamente e ottennero che la questione fosse discussa in una conferenza internazionale. La conferenza, che si tenne a Londra fra il dicembre 1830 e il gennaio 1831, riconobbe l'indipendenza del Belgio (che aveva già eletto un'assemblea nazionale e si era dato una costituzione liberale) e ne affidò la corona a un principe tedesco, Leopoldo di Sassonia-Coburgo. Era una decisione di portata storica, non solo perché riconosceva l'esito vittorioso di una lotta per l'indipendenza (c'era in questo senso il precedente della Grecia), ma soprattutto perché violava esplicitamente un deliberato del congresso di Vienna e segnava simbolicamente, col delinearsi dell'intesa franco-inglese, la fine dell'equilibrio stabilito nel 1815.
Il successo della causa liberale e nazionale non si ripeté però nel caso di altri moti rivoluzionari originati da analoghe rivendicazioni indipendentiste e collegati anch'essi alle ripercussioni del luglio francese. Ci riferiamo ai moti che ebbero luogo all'inizio del '31 nell'Italia centro-settentrionale (ducati e Legazioni pontificie), del cui svolgimento sfortunato parleremo in un successivo capitolo, e alla rivolta scoppiata in Polonia contro il dominio russo, che portò, nel gennaio 1831, alla proclamazione dell'indipendenza. In entrambi i casi i promotori delle insurrezioni speravano nell'aiuto francese. Ma dovettero presto constatare i limiti della teoria del "non intervento", soprattutto quando si riferiva a episodi avvenuti lontano dai confini del Regno di Francia. Nel febbraio del '31, Luigi Filippo, deciso a evitare una crisi generale e preoccupato anche per il risorgere di tendenze bonapartiste nel suo paese, sostituì il primo ministro Lafitte con il più moderato Périer: il quale si affrettò a rassicurare le potenze europee circa le intenzioni pacifiche del suo governo.
Nel marzo del '31, gli austriaci intervennero militarmente nell'Italia centro-settentrionale per restaurarvi i governi spodestati. Nel febbraio, i russi avevano intrapreso una sanguinosa campagna contro gli insorti polacchi, che si sarebbe conclusa solo in settembre con la caduta di Varsavia. La Polonia perse da allora anche la limitata autonomia che le era stata concessa da Alessandro I e fu sottoposta a un'opera di sistematica "russificazione", che spinse molti patrioti a emigrare all'estero. Nel caso dell'Italia come in quello della Polonia, il governo francese non fece alcun passo in favore degli insorti, considerando gli interventi austriaco e russo alla stregua di affari interni ai due imperi.
Pur mostrandosi tutt'altro che disposta a scontrarsi con le potenze conservatrici per difendere la causa del liberalismo e del principio di nazionalità, la Francia di Luigi Filippo esercitò una notevole influenza sulle vicende politiche di alcuni paesi vicini. In Svizzera vi fu, dopo il 1830, una serie di riforme liberali negli ordinamenti dei singoli cantoni che componevano la Confederazione elvetica. Anche la Germania fu percorsa da un'ondata di agitazioni che in alcuni Stati (Brunswick, Sassonia e altri minori) portarono a riforme costituzionali, pur senza mettere in discussione l'appartenenza della Confederazione germanica alla sfera di influenza austriaca.
Mutamenti di un certo rilievo si verificarono anche nelle due monarchie iberiche, Spagna e Portogallo, che si trovarono a essere teatro, più o meno negli stessi anni, di contese dinastiche e politiche molto simili fra loro: con due giovani regine (Isabella II in Spagna e Maria da Gloria in Portogallo) sostenute dalle forze liberali e contestate da altri pretendenti al trono (don Miguel in Portogallo, don Carlos in Spagna) che si appoggiavano ai gruppi clericali e legittimisti. In entrambi i casi le forze liberali riuscirono a prevalere grazie all'appoggio congiunto di Gran Bretagna e Francia (anche se i nuovi regimi costituzionali si rivelarono alquanto deboli e instabili, e anche se in Spagna la guerra civile condotta dai "carlisti" durò fino al 1839).
Nel 1834, Spagna e Portogallo strinsero con Gran Bretagna e Francia una quadruplice alleanza. Un anno prima, nel 1833, Austria, Prussia e Russia avevano ribadito, in un convegno tenuto a Münchengrätz, la loro fedeltà ai princìpi della Santa alleanza. La divisione che si era venuta a creare fra le monarchie liberali dell'Europa occidentale e le monarchie autoritarie dell'Europa centro-orientale trovava così riscontro anche negli schieramenti internazionali.
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