5.3 L'industrializzazione dell'Europa continentale
Nei paesi dell'Europa continentale, l'affermazione dell'industria moderna - caratterizzata dall'uso delle macchine e dalla centralizzazione dei processi produttivi in fabbriche con alto numero di addetti - fu, all'inizio dell'800, piuttosto lenta e difficile. Nel primo quindicennio del secolo, le guerre e il blocco economico imposto da Napoleone avevano chiuso buona parte del continente alle esportazioni britanniche, ma avevano anche impedito la circolazione delle idee e dei ritrovati tecnologici che stavano alla base della rivoluzione industriale inglese. E a poco erano serviti i tentativi del regime napoleonico di incoraggiare con incentivi e premi la nascita di una tecnologia e di un'industria basate unicamente su risorse nazionali. Col ritorno della pace, l'industria - che era ancora fondata sulla manifattura tradizionale - si trovò improvvisamente esposta alla concorrenza vincente dei prodotti inglesi, soprattutto nel settore dei tessuti, che costituivano allora l'unico bene di consumo non alimentare a larga diffusione.
Ne seguì una crisi generale - in parte coincidente con la crisi agraria del '16-'17 - che portò alla chiusura di molte aziende e addirittura alla "deindustrializzazione" di intere regioni. Quasi tutti gli Stati reagirono con un inasprimento dei dazi di importazione. Ma queste misure protezionistiche, se diedero qualche respiro ai produttori in difficoltà, non favorirono certo la modernizzazione dell'apparato industriale, resa già difficile da una serie di ostacoli e di resistenze di fondo.
I capitali erano ovunque scarsi, soprattutto a causa della mancata o ritardata trasformazione capitalistica dell'agricoltura; e si indirizzavano preferibilmente verso gli investimenti fondiari, tradizionalmente ritenuti più sicuri e remunerativi. Il sistema bancario era poco sviluppato; e, là dove era più evoluto (come in Francia), era orientato alla speculazione finanziaria più che agli investimenti produttivi. Il basso livello dei prezzi (caratteristica, come si è detto, di tutto il periodo 1815-50) riduceva i possibili margini di profitto. Il tenore di vita del grosso della popolazione era mediamente molto più basso che in Gran Bretagna (stime riferite a un periodo successivo, quando il divario si era con ogni probabilità ridotto, indicano che il reddito pro-capite inglese stava a quello francese con un rapporto di 3 a 2, e di 2,5 a 1 a quello tedesco). E ciò limitava fortemente la capacità di assorbimento dei prodotti industriali da parte di un mercato già indebolito e frammentato da molti ostacoli, naturali e artificiali. In queste condizioni l'investimento nei macchinari, e in genere negli impianti fissi, comportava rischi molto elevati; inoltre, rispetto alla produzione industriale, la produzione manifatturiera o quella decentrata (basata sul lavoro a domicilio e integrata con le attività agricole) potevano risultare, oltre che più sicure, anche più convenienti per l'imprenditore.
Nonostante la presenza di tanti fattori sfavorevoli, alcuni nuclei di industria moderna - soprattutto nel settore tessile, ma anche in quello meccanico - riuscirono ad affermarsi già nell'età della Restaurazione. Ciò avvenne in alcune zone "privilegiate", favorite dalle ricchezze del sottosuolo, dalla disponibilità di energia idrica (che restava, accanto al vapore, la principale forza motrice nelle fabbriche), da particolari fattori geografici (presenza di vie d'acqua navigabili, vicinanza ai mercati dei grandi centri urbani), ma anche da determinate condizioni politico-sociali (crescita della borghesia, declino delle aristocrazie terriere). La più vasta di queste zone si estendeva dalla Manica alle Alpi svizzere e comprendeva il Belgio, alcuni distretti della Francia nord-orientale (la zona di Lille e Roubaix), l'Alsazia francese e la Renania tedesca. Altri nuclei industriali si trovavano in Normandia, in Sassonia, in Slesia, in Boemia e nelle regioni di Parigi, Berlino e Vienna.
Queste aree industrializzate - che si definivano a prescindere dai confini fra Stato e Stato e spesso li attraversavano - si vennero man mano allargando, prima molto lentamente, poi con maggiore rapidità. Un'accelerazione di questo processo si verificò intorno al 1830, grazie al concorrere di fattori di diversa natura: da un lato il parziale miglioramento della congiuntura economica, che ebbe effetti positivi sui redditi; dall'altro i rivolgimenti politici dell'inizio degli anni '30 (l'affermazione della "monarchia borghese" in Francia, l'indipendenza del Belgio, l'Unione doganale tedesca). Senza contare l'avvento della ferrovia, che diede un notevole impulso ai lavori pubblici e favorì - come già si è accennato - il decollo delle industrie meccaniche e siderurgiche. In generale vi fu un nuovo interesse dei poteri pubblici nei confronti dell'industria, che si giovò anche dell'importazione di macchine e di tecnici dall'Inghilterra.
Proprio grazie ai suoi stretti rapporti con la Gran Bretagna, oltre che alla ricchezza dei suoi giacimenti carboniferi, il Belgio riuscì ad assicurarsi in questo periodo un indiscusso primato in campo industriale fra i paesi dell'Europa continentale, con il più alto numero di macchine a vapore installate in rapporto alla popolazione, con la rete ferroviaria più estesa in relazione alla superficie e con una produzione di carbone che, nel 1850, era quasi pari a quella della Francia.
La Francia, che pure partiva da posizioni di apparente vantaggio (era lo Stato più popoloso d'Europa dopo la Russia e il più ricco dopo la Gran Bretagna, vantava un alto livello scientifico e tecnologico, aveva una industria manifatturiera già abbastanza sviluppata, godeva, soprattutto dopo il 1830, di favorevoli condizioni politiche) ebbe invece una crescita più lenta, anche se in sé rilevante: circa il 50% fra il '30 e il '50. Progressi importanti si ebbero nel settore laniero e cotoniero (l'industria della seta, concentrata soprattutto nella zona di Lione, rimase più legata alle lavorazioni tradizionali) e anche in quello siderurgico e meccanico. Il numero delle macchine a vapore fisse passò da meno di 1000 nel 1833 a quasi 4500 nel 1846. Ma, ancora nel 1850, la potenza complessiva delle macchine installate era di 5-6 volte inferiore a quella della Gran Bretagna; e più o meno simile era il rapporto fra i due paesi nella produzione di carbone e ferro. A impedire un decollo più rapido, e probabilmente più traumatico, era la stessa struttura della società rurale francese, caratterizzata dalla diffusione della piccola e media proprietà contadina, che teneva legati alla terra capitali e forza-lavoro, anziché "liberarli", com'era avvenuto in Gran Bretagna, e renderli disponibili per l'industria.
Nei paesi della Confederazione germanica il cammino verso l'industrializzazione fu in questo periodo ancora più difficile che in Francia. La situazione di partenza era più sfavorevole, a causa del basso livello del reddito medio, della frammentazione politica, degli squilibri sociali fra regione e regione. A metà secolo, l'area dei paesi di lingua tedesca era ancora di parecchie lunghezze indietro rispetto alla Francia per numero di macchine a vapore e per volume della produzione di ferro e di carbone; e ancora più grave era il ritardo nel settore tessile. Però in questi anni furono poste alcune premesse fondamentali: il completamento dell'unione doganale, la costruzione di una rete ferroviaria abbastanza estesa (quasi 6000 chilometri nel 1850 contro i 3000 della Francia), lo sviluppo dell'istruzione superiore e l'affermarsi di una prestigiosa scuola scientifica, soprattutto nei campi dell'ingegneria e della chimica. Queste premesse avrebbero consentito alla Germania, nei decenni successivi, di bruciare le tappe dell'industrializzazione, saltando la fase caratterizzata dal dominio del tessile e concentrandosi nei settori tecnologicamente più avanzati, come la siderurgia e la chimica.
Molto diversa fu l'evoluzione dell'Impero asburgico, dove pure esistevano alcuni promettenti nuclei di sviluppo industriale (in Austria e in Boemia) ed erano presenti alcune precondizioni favorevoli: una amministrazione efficiente, una buona rete stradale, un discreto livello di istruzione. Lo sviluppo delle prime aree industrializzate fu ostacolato non solo dallo strapotere esercitato dalle aristocrazie terriere, ma anche dai particolarismi nazionali, che spesso si traducevano in barriere doganali (l'Ungheria, ad esempio, fino al 1850, mantenne alti dazi nei confronti del resto dell'Impero).
Al di fuori dei paesi che abbiamo appena considerato - e di pochi isolati nuclei nell'Italia settentrionale, nella Spagna del Nord (Barcellona) e in Russia (la regione di Pietroburgo) - l'industria moderna era praticamente sconosciuta. I paesi dell'Europa orientale e di quella mediterranea mancarono l'appuntamento con la prima fase dell'industrializzazione. Alcuni di essi, come l'Italia e la Russia, avrebbero tentato, ispirandosi al modello tedesco, di rientrare nel gioco partendo dalle fasi successive. Ma le conseguenze del ritardo si sarebbero fatte sentire per molto tempo.
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