6. Il Risorgimento italiano
6.1 Risorgimento e storia d'Italia
Come molti altri paesi europei - dalla Polonia all'Irlanda, dalla Grecia all'Ungheria - anche l'Italia conobbe, nella prima metà dell'800, un processo di graduale riscoperta e di sempre più netta rivendicazione della propria identità nazionale. Questo processo, che avrebbe portato nel giro di pochi decenni alla conquista dell'indipendenza, fu definito dai contemporanei, e poi dagli storici, col nome di "risorgimento": una definizione che ne sottolineava il carattere di rinascita culturale e politica, di riscatto da una condizione di servitù e di decadenza morale, di ritorno a un passato glorioso (non importa se reale o mitico).
Per la verità l'Italia, diversamente dalla Polonia o dall'Ungheria, non aveva mai conosciuto, lungo tutto il corso della sua storia, l'esperienza di uno Stato unitario. Era stata unita politicamente solo ai tempi dell'Impero romano, ma all'interno di un'entità statale di tipo universalistico e sovranazionale. In seguito, era sempre rimasta divisa e, almeno in parte, subordinata a sovranità straniere: subordinazione che era diventata pressoché completa a partire dal '500, proprio in coincidenza con una stagione di splendore artistico e di indiscusso primato culturale.
Eppure, se uno Stato italiano non era mai esistito, una nazione italiana, in quanto comunità linguistica, culturale, religiosa e in parte anche economica, esisteva almeno fin dall'epoca dei comuni. E l'idea di Italia come entità ben definita (seppure non coincidente con uno Stato) era sempre stata viva nel pensiero degli intellettuali italiani, da Petrarca a Machiavelli ad Alfieri. Nel '700, col diffondersi della cultura illuminista, questa consapevolezza si era fatta più viva; e assieme ad essa si era manifestata in misura crescente l'aspirazione a una rinascita, a un rinnovamento culturale e morale di tutto il popolo italiano: anche se questa aspirazione non si era tradotta immediatamente in una precisa rivendicazione politica.
Voci unitarie e indipendentiste erano emerse, negli ultimi decenni del secolo, all'interno del movimento giacobino (soprattutto fra le correnti più radicali). Ma erano rimaste soffocate dalla contraddizione tipica di tutto il giacobinismo italiano: quella di essere portatore di idee rivoluzionarie anche nel campo dei rapporti fra le nazioni e di dover legare la realizzazione di queste idee alle sorti di una potenza straniera. La stessa esperienza della Repubblica italiana e poi del Regno italico - esperienza per molti aspetti positiva, se non altro per il fatto di aver unito in un unico organismo statale tutte le popolazioni della parte più progredita del paese - era stata minata da questa contraddizione di fondo, aggravata dalla politica nazionalista e assolutista di Napoleone.
Con la Restaurazione e con lo stabilirsi di un'egemonia austriaca su tutta la penisola, la situazione dell'Italia peggiorò sotto molti punti di vista. Ma certamente per i patrioti italiani i problemi risultarono semplificati: la lotta per gli ideali liberali e democratici poteva ora coincidere con quella per la liberazione dal dominio straniero. Questo però non significava ancora battersi per l'indipendenza e per l'unità italiana. Nei moti del '20-'21 la questione nazionale fu pressoché assente, o comunque subordinata alle rivendicazioni di ordine costituzionale, alle spinte per un mutamento politico all'interno dei singoli Stati. Lo stesso programma dei Federati lombardi e piemontesi non andava oltre l'ipotesi di un Regno dell'Italia settentrionale sotto la monarchia sabauda. Nei moti che ebbero luogo dieci anni dopo nelle regioni del Centro-nord, l'assenza di una visione unitaria risultò ancora in modo evidente. Dal fallimento di questi moti, come vedremo fra poco, avrebbe tratto spunto Giuseppe Mazzini per elaborare una nuova concezione, che aveva il suo punto centrale proprio nella rivendicazione dell'unità e dell'indipendenza nazionale.
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