6.5 L'evoluzione degli Stati italiani
Il decennio 1830-40 - che aveva visto tanti profondi mutamenti nella politica e nella società europee - trascorse in Italia sotto il segno di una sostanziale continuità col periodo della Restaurazione. L'avvento quasi contemporaneo di nuovi sovrani nei maggiori Stati della penisola (e nello stesso Impero asburgico, dove nel 1835 salì al trono Ferdinando I) non portò alcuna svolta significativa nelle istituzioni e nei metodi di governo.
Abbiamo già accennato al pontificato di Gregorio XVI (1831-46), che applicò il tradizionalismo più intransigente non solo alle materie dottrinarie (
5.6), ma anche all'amministrazione dello Stato della Chiesa, bloccando ogni riforma razionalizzatrice e ogni iniziativa di progresso economico (si oppose, ad esempio, alla costruzione di ferrovie). Nessun mutamento di rilievo nemmeno nelle due Sicilie, dove il regno di Ferdinando II (1830-59) si caratterizzò soprattutto per l'impegno posto dal re e dal suo ministro di polizia Del Carretto nella repressione delle rivolte che si ripetevano con una certa frequenza in varie zone del Regno, e del sempre preoccupante separatismo siciliano.
Qualche limitato spiraglio sembrò aprirsi nel Regno di Sardegna con l'avvento al trono, nel 1831, di
Carlo Alberto, discusso protagonista delle drammatiche vicende del 1821. In realtà il nuovo re, deciso a far dimenticare i suoi vecchi contatti coi liberali, si era orientato da tempo verso posizioni clericali e legittimiste; e da tali posizioni non si scostò nel suo primo decennio di regno, che fu caratterizzato dalla stretta alleanza con la Chiesa e, sul piano internazionale, da una forte ostilità nei confronti della Francia orleanista. Al tempo stesso, però, Carlo Alberto, sotto l'influenza di alcuni esponenti dell'aristocrazia liberale, avvertì il bisogno di introdurre alcune innovazioni nella struttura istituzionale - che restò comunque assolutista - e nell'arretratissima legislazione del Regno. Nel 1831 fu istituito un Consiglio di Stato di nomina regia, dotato di funzioni puramente consultive. Nel '37 e nel '40 vennero promulgati i nuovi codici civile e penale, cui seguì, nel '43, un nuovo codice commerciale. Qualche progresso si registrò nel settore dell'istruzione e in quello delle comunicazioni stradali. In generale, dall'inizio degli anni '40, si venne affermando nel Regno sardo un clima più disteso e tollerante che, come vedremo, aprì nuovi spazi all'iniziativa delle forze liberal-moderate.
Una pratica di governo relativamente illuminata e tollerante continuò in questo periodo a caratterizzare il Granducato di Toscana. Neanche qui, però, gli anni '30 furono portatori di significative novità rispetto al periodo della Restaurazione (che aveva visto la Toscana staccarsi nettamente dagli altri Stati italiani per la libertà delle idee e per la qualità della classe dirigente). Anzi, la stretta tutela imposta dall'Austria, soprattutto dopo il 1830-31, al granduca Leopoldo II ebbe l'effetto di impedire ogni sviluppo autenticamente liberale e di limitare l'espressione dei fermenti culturali più vivaci: la manifestazione più evidente di questa tendenza fu la decisione presa da Leopoldo II nel 1833, su pressione del governo austriaco, di far cessare la pubblicazione dell'"Antologia" (
1.5). Una iniziativa di segno opposto e di alto valore non solo simbolico fu invece quella di convocare a Pisa, nel 1839, il primo congresso degli scienziati italiani. Dai congressi - che da allora si tennero annualmente, fino al 1847, in diverse città italiane - era esclusa qualsiasi discussione di argomento politico (e, per maggior sicurezza, anche storico-letterario). Si parlava però di economia, di agraria, di istruzione pubblica e di altri temi di rilevanza immediata. E il fatto stesso che centinaia di intellettuali provenienti da ogni parte d'Italia si incontrassero regolarmente e pubblicamente per discutere problemi di interesse comune rappresentò un importante contributo alla formazione di un'opinione pubblica e, in prospettiva, di una classe dirigente nazionale.
A questi timidi segni di risveglio culturale si accompagnarono, all'inizio degli anni '40, alcuni incoraggianti sintomi di progresso nel quadro economico: un quadro che aveva fatto registrare nell'ultimo ventennio una tendenza pressoché costante alla crescita produttiva, ma era pur sempre caratterizzato da una condizione di notevole arretratezza rispetto alle zone più progredite d'Europa.
Il settore agricolo restava per lo più legato alle tecniche e ai sistemi di conduzione dell'antico regime. Solo in alcune zone della Lombardia e, in minor misura, del Piemonte (dove la trasformazione capitalistica dell'agricoltura si era avviata già dalla fine del '700), si erano realizzati progressi consistenti nella cerealicoltura e nell'allevamento. L'industria era rimasta sostanzialmente estranea alla tecnologia delle macchine. In particolare, il settore tessile - il più consistente per produzione e per numero di addetti, ma anche il più diffuso in tutte le regioni, comprese quelle meridionali - si fondava sulla manifattura tradizionale e sul lavoro a domicilio. L'industria mineraria e quella meccanica erano presenti solo con piccoli e sparsi nuclei, per lo più dovuti a capitali stranieri.
Le ferrovie ebbero un avvio assai lento e ritardato. La prima linea aperta in Italia fu la Napoli-Portici, realizzata nel 1839 per volontà di Ferdinando II, più per motivi di prestigio che in base a un preciso piano di sviluppo. Solo nel corso del decennio successivo la costruzione di strade ferrate assunse un carattere più sistematico, limitatamente al Piemonte, al Lombardo-Veneto e alla Toscana: nel 1848 esistevano in Italia circa 300 chilometri di ferrovie (dieci volte meno che in Francia, trenta volte meno che in Gran Bretagna). L'avvio delle costruzioni ferroviarie fu comunque uno degli elementi che contribuirono, fra il '40 e il '46, a dare nuovo slancio all'economia degli Stati italiani. Altri fattori furono i progressi del sistema bancario (soprattutto in Toscana e in Piemonte), lo sviluppo dei porti e della marina mercantile, il generale incremento del commercio internazionale che si ripercosse positivamente anche sull'Italia. In Piemonte la crescita degli scambi commerciali fu favorita anche da un certo abbassamento delle tariffe doganali, che ebbe luogo a partire dal 1835.
Si trattava, nel complesso, di progressi limitati, non tali da permettere all'Italia di ridurre il ritardo che stava accumulando nei confronti dell'Europa in via di industrializzazione. Ma furono sufficienti a far riflettere la parte più avvertita dell'opinione pubblica borghese sui danni derivanti all'economia dalla mancanza di un mercato nazionale e di un efficiente sistema di comunicazioni; a riproporre il progetto di una unione doganale italiana, da realizzare sul modello dello Zollverein tedesco; a stimolare il confronto con gli altri paesi europei; a rendere viva l'esigenza di un nuovo e più razionale assetto politico di tutta la penisola.
Torna all'indice