7.4 La rivoluzione nell'Impero asburgico
Il moto rivoluzionario iniziato a Parigi alla fine di febbraio si propagò nel giro di poche settimane a gran parte dell'Europa. Nell'Impero asburgico, negli Stati italiani e nella Confederazione germanica gli echi degli avvenimenti parigini fecero esplodere una situazione già tesa: il malcontento suscitato dalla crisi economica si univa alla protesta contro la gestione autoritaria del potere e si mescolava alle tensioni provocate dalle numerose "questioni nazionali" che il congresso di Vienna aveva lasciato irrisolte. Diversamente da quanto era accaduto in Francia, la componente "sociale" rimase in secondo piano e lo scontro principale fu combattuto fra la borghesia liberale (con l'appoggio di consistenti settori delle classi popolari) e le strutture politiche dell'ancien régime.
Il primo importante episodio insurrezionale ebbe luogo a
Vienna, il 13 marzo. L'occasione della rivolta fu data da una grande manifestazione di studenti e lavoratori duramente repressa dall'esercito. Dopo due giorni di combattimenti, gli ambienti di corte (regnava allora l'imperatore Ferdinando I, seminfermo di mente) furono costretti a sacrificare il cancelliere, principe di Metternich: l'uomo-simbolo dell'età della Restaurazione dovette abbandonare il potere, che deteneva ininterrottamente da quasi quarant'anni, e rifugiarsi all'estero.
Le notizie dell'insurrezione di Vienna e della fuga di Metternich fecero precipitare la situazione nelle già irrequiete province dell'Impero asburgico e nella vicina Confederazione germanica. Il 15 marzo vi furono tumulti a Budapest. Il 17 e il 18 si sollevavano Venezia e Milano (negli stessi giorni una violenta sommossa scoppiava a Berlino, capitale della Prussia). Il 19 i cittadini di Praga inviavano una petizione all'imperatore chiedendo autonomia e libertà politiche per i cechi. Nella primavera del '48 il grande impero plurinazionale sembrava sull'orlo del collasso. A Vienna il tentativo del governo di venire incontro alle richieste dei liberali con una costituzione di stampo moderato servì solo a provocare nuove sommosse popolari. In maggio l'imperatore dovette abbandonare la capitale e promettere la convocazione di un Parlamento dell'Impero (Reichstag) eletto a suffragio universale.
In
Ungheria le promesse del governo imperiale di concedere ai magiari una propria costituzione e un proprio parlamento non bastarono a fermare l'agitazione autonomistica. Sotto la spinta dell'ala democratico-radicale, che faceva capo a Lajos Kossuth, i patrioti ungheresi profittarono della crisi in cui versava il potere centrale per creare un governo nazionale e per agire in totale autonomia da Vienna. Fu decretata la fine dei rapporti feudali nelle campagne, una misura che certo contribuì ad assicurare l'appoggio dei contadini alla causa nazionale. Fu eletto un nuovo Parlamento a suffragio universale. In luglio, infine, Kossuth cominciò a organizzare un esercito nazionale, primo passo verso la piena indipendenza, che costituiva ormai l'obiettivo finale degli insorti.
Anche a
Praga, in aprile, venne formato un governo provvisorio. I patrioti cechi, per lo più di orientamento liberale, non mettevano in discussione il vincolo con la monarchia asburgica, ma si limitavano a chiedere più ampie autonomie per tutte le popolazioni slave dell'Impero. Ai primi di giugno si riunì a Praga un congresso cui parteciparono delegati di tutti i territori slavi soggetti alla corona asburgica: sia di quelli settentrionali (Boemia, Slovacchia, Galizia, Rutenia), sia di quelli meridionali (Croazia e Slovenia). Ma il 12 giugno, pochi giorni dopo l'apertura del congresso, alcuni incidenti scoppiati fra la popolazione e l'esercito fornirono al maresciallo Windischgrätz, comandante delle truppe di stanza a Praga, il pretesto per un intervento militare. La capitale boema fu assediata e bombardata dai reparti imperiali. Il congresso slavo fu disperso e il governo ceco sciolto d'autorità.
La sottomissione di Praga segnò l'inizio della riscossa per il traballante potere imperiale. Essa mostrava che l'efficienza e la fedeltà dell'esercito, tradizionale pilastro della monarchia asburgica, non erano state intaccate dagli ultimi rivolgimenti politici e che l'iniziativa dei comandanti militari era in grado di supplire alle incertezze del governo. Nel corso dell'estate la svolta si consolidò. Mentre il Reichstag, riunitosi per la prima volta in luglio, era paralizzato dai contrasti fra le diverse nazionalità (l'unica sua decisione di portata storica fu l'abolizione della servitù della gleba in tutti i territori dell'Impero in cui era ancora in vigore), il governo centrale riprendeva gradualmente il controllo della situazione. In luglio - come vedremo meglio più avanti - il maresciallo Radetzky sconfiggeva i piemontesi e ristabiliva il dominio austriaco in Lombardia. In agosto, sotto la protezione dell'esercito, l'imperatore rientrava a Vienna.
A questo punto il governo si sentì abbastanza forte per affrontare lo scontro con i separatisti ungheresi che ormai rifiutavano ogni compromesso con la monarchia. Per venire a capo della secessione, il potere imperiale si servì abilmente delle profonde rivalità che dividevano gli slavi dai magiari. Questi ultimi infatti inseguivano il sogno di una "grande Ungheria" che comprendesse tutti i territori slavi già appartenenti all'antico regno magiaro. Gli slavi del Sud - in particolare i croati - furono così indotti ad appoggiarsi alla monarchia asburgica che offriva loro maggiori garanzie di conservare la propria identità nazionale. Un capo del movimento autonomista, Josip Jelačić, fu nominato in luglio governatore della Croazia. In settembre, un esercito croato comandato dallo stesso Jelačić entrò in Ungheria per unirsi alle truppe imperiali.
Almeno per il momento, però, l'Ungheria fu salvata grazie a una nuova insurrezione scoppiata a Vienna ai primi d'ottobre. Studenti e lavoratori della capitale austriaca si sollevarono per impedire la partenza di nuove truppe per il fronte. I reparti già impegnati in Ungheria furono allora richiamati per schiacciare la rivolta. Alla fine di ottobre il maresciallo Windischgrätz ripeté l'operazione compiuta pochi mesi prima a Praga. Vienna fu cinta d'assedio e occupata dopo tre giorni di durissimi combattimenti che costarono agli insorti circa duemila morti. La rivoluzione nell'Impero asburgico veniva così stroncata nella sua punta più avanzata. Poche settimane dopo, l'imperatore Ferdinando I abdicava in favore del nipote, il diciottenne
Francesco Giuseppe. Nel marzo 1849 il nuovo imperatore sciolse d'autorità il Reichstag e promulgò una costituzione "moderata", che prevedeva un parlamento eletto a suffragio ristretto e dotato di poteri molto limitati e ribadiva al tempo stesso la struttura centralistica dell'Impero.
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