8.11 Bakunin, Marx e la crisi dell'Internazionale
Fino alla fine degli anni '60, il dibattito ai vertici dell'Internazionale vide contrapposti da un lato i socialisti veri e propri (coloro cioè che sostenevano la socializzazione dei mezzi di produzione), dall'altro i proudhoniani, fautori di un sistema fondato sulle cooperative e sulle autonomie locali. Nei primi congressi dell'Associazione le tesi dei proudhoniani furono ripetutamente sconfitte. Ma gli ideali libertari e federalisti esercitavano ancora un fascino notevole sul proletariato rivoluzionario, in particolare su quello dei paesi meno industrializzati: una volta tramontata la stella del proudhonismo, essi conobbero nuova fortuna nella versione assai più radicalmente rivoluzionaria che ne diede il russo
Michail Bakunin, massimo teorico dell'anarchismo moderno.
Bakunin era nato nel 1814 da una famiglia di piccoli nobili di campagna. Aveva viaggiato a lungo per l'Europa e aveva partecipato ai moti del '48 in Francia e in Germania. Arrestato in Sassonia e consegnato al governo russo, aveva passato più di dieci anni fra la prigionia e il confino in Siberia. Fuggito dalla Russia, si era stabilito fra il '65 e il '67 a Napoli, dove aveva fondato la prima sezione italiana dell'Internazionale. Aveva quindi spostato la sua attività in Svizzera, dando vita, nel '69, a una Alleanza per la democrazia socialista.
Fino a questo momento, Bakunin era rimasto in buoni rapporti con Marx e ne aveva appoggiato le battaglie in seno all'Internazionale. Ma le posizioni dei due leader erano nettamente divergenti su una serie di problemi fondamentali. Per Bakunin, l'ostacolo principale che impediva all'uomo il conseguimento della piena libertà era costituito non tanto dai rapporti di produzione, quanto dall'esistenza stessa dello Stato. Lo Stato era, assieme alla religione, lo strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la stragrande maggioranza della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Compito prioritario dei rivoluzionari era dunque quello di liberare le masse dall'influenza nefasta della religione per poi condurle all'assalto del potere statale. Abbattuto questo, il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà privata sarebbe inevitabilmente caduto. Il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente come l'ordine più consono alle esigenze naturali delle masse, senza che allo Stato dovesse sostituirsi nessuna organizzazione di tipo centralizzato e coercitivo: gli stessi lavoratori, spinti dal naturale istinto di collaborazione sociale, si sarebbero naturalmente associati in gruppi via via più vasti.
È evidente quanto queste concezioni fossero distanti da quelle di Marx. Anche Marx vedeva nella religione e nello Stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti; ma collocava l'uno e l'altra nella sfera della sovrastruttura, li considerava cioè come un prodotto della struttura economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di quella struttura - ossia del sistema capitalistico - avrebbe reso possibile la distruzione dello Stato borghese. Anche per Marx l'avvento del comunismo avrebbe portato con sé l'"estinzione dello Stato"; ma questo stadio finale sarebbe stato raggiunto solo dopo una fase transitoria, quella della "dittatura del proletariato", necessaria per neutralizzare la reazione delle classi dominanti. Per Marx, inoltre, il protagonista del processo rivoluzionario non poteva essere che il proletariato industriale dei paesi più avanzati. Per Bakunin, invece, il vero soggetto della rivoluzione erano le masse diseredate in quanto tali, senza distinzione fra operai, contadini e sottoproletari. Mentre Marx, pur non credendo nella possibilità di trasformare il sistema borghese dall'interno, riteneva utile che la classe operaia cominciasse a combattere le sue battaglie già dentro il sistema, Bakunin era decisamente contrario a ogni prospettiva del genere: per lui l'unica forma possibile di lotta era la rivolta armata.
A far esplodere il contrasto fra Marx e Bakunin non furono comunque le questioni ideologiche, ma quelle, strettamente connesse, che riguardavano i compiti e la struttura dell'Internazionale. Marx riteneva infatti che spettasse agli organi dirigenti dell'Associazione il compito di formulare gli obiettivi e la strategia del movimento operaio. Bakunin pensava invece all'Internazionale come a una federazione di organizzazioni locali, ciascuna libera di darsi un proprio indirizzo politico. La lotta fra i marxisti e gli anarchici bakuniniani (o, come allora si disse, fra "autoritari" e "antiautoritari") si sviluppò all'inizio degli anni '70, in significativa coincidenza col fallimento della Comune parigina (
9.10), ossia dell'ultimo importante episodio rivoluzionario verificatosi nell'Europa dell'800. Al congresso dell'Aja del settembre 1872, Marx ed Engels riuscirono a mettere in minoranza i seguaci di Bakunin e a far approvare una risoluzione che trasferiva la sede centrale dell'Internazionale da Londra a New York. Gli "antiautoritari" non riconobbero la validità di questa decisione, continuando a ritenersi i legittimi rappresentanti dell'Internazionale e ad agire in nome di essa.
In realtà, decidendo il trasferimento degli organi centrali lontano dall'Europa, Marx aveva consapevolmente decretato la morte dell'Internazionale (che infatti fu sciolta ufficialmente nel 1876), in quanto la giudicava ormai uno strumento inefficace e inadeguato ai tempi e puntava invece sullo sviluppo nei vari Stati di forti partiti socialisti che fossero in grado di inquadrare la maggioranza della classe operaia.
La scelta di Marx si sarebbe rivelata vincente, ma solo sui tempi lunghi. Nell'immediato, l'Internazionale anarchica conservò in molti paesi europei un seguito e un'influenza considerevoli. Il bakuninismo si adattava meglio del marxismo a quei paesi e a quei ceti sociali che non avevano ancora conosciuto la rivoluzione industriale e si inseriva spesso sul tronco di un antico ribellismo contadino. Fu questa la forza dell'anarchismo bakuniniano. Ma fu anche la causa del suo inarrestabile declino di fronte allo sviluppo dell'industria e alla crescita di una classe operaia moderna.
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