9.2 L'Inghilterra liberale
Nel periodo successivo al 1848, la Gran Bretagna visse una lunga stagione di stabilità politica e di tranquillità sociale, oltre che di notevole prosperità economica. Intorno alla metà del secolo, il Regno Unito era, sotto quasi tutti gli aspetti, la più progredita fra le grandi potenze europee. Aveva un numero di occupati nell'industria che si avvicinava alla metà della popolazione attiva (mentre era circa un quarto in Francia e in Prussia). Produceva i due terzi del carbone e la metà del ferro prodotti in tutto il mondo. Aveva la rete ferroviaria più sviluppata in relazione al territorio e una flotta mercantile pari alla metà di quella di tutti gli altri paesi europei messi insieme. Era il centro commerciale e finanziario cui facevano capo i traffici di tutti i continenti. Possedeva un impero coloniale già vasto e in via di ulteriore espansione. Aveva un tasso di analfabetismo fra i più bassi del mondo (superata in questo solo dalla Prussia e dalla Svezia). Aveva infine le istituzioni politiche più libere d'Europa.
Da questo punto di vista, il ventennio 1848-66 - caratterizzato dalla presenza quasi ininterrotta dei liberali al governo - segnò un ulteriore consolidamento del sistema parlamentare: cioè di quel sistema, nato proprio in Gran Bretagna, che subordinava la vita di un governo alla fiducia del Parlamento e faceva di quest'ultimo l'arbitro indiscusso della vita politica. Alla corona era invece affidato un ruolo essenzialmente simbolico di personificazione dell'identità nazionale, ruolo che si manifestò pienamente nel corso del lunghissimo regno della
regina Vittoria (dal 1837 al 1901). Il sistema parlamentare non era però sinonimo di democrazia. In Gran Bretagna - come in altri paesi in cui vigeva il sistema bicamerale - molti poteri spettavano ancora alla Camera alta, ossia alla Camera dei Lords, alla quale si accedeva per diritto ereditario o per nomina regia. La stessa Camera elettiva (la Camera dei Comuni) era espressione di uno strato piuttosto ristretto della popolazione: in base alla legge elettorale del 1832 (
4.5), avevano infatti diritto al voto, negli anni '60, circa 1.300.000 persone, ossia il 15% del totale dei maschi adulti.
La riforma elettorale rappresentò in questo periodo il principale oggetto di dibattito nella vita politica britannica. Fino alla metà degli anni '60 - cioè nel periodo in cui la scena fu dominata dalla personalità di Henry Palmerston, già ministro degli Esteri, poi capo del governo, leader della corrente moderata del liberalismo - la lotta per l'allargamento del suffragio fu condotta soprattutto dagli intellettuali radicali, come John Bright o come il filosofo John Stuart Mill. Le cose cambiarono nel 1865, quando, morto Palmerston, la guida dei liberali fu assunta da
William Gladstone. Questi, facendosi interprete della parte più dinamica della società inglese (la borghesia industriale alleata con le frange più qualificate della classe operaia), presentò un progetto di legge che prevedeva una limitata estensione del diritto di voto. Il progetto incontrò però la resistenza dell'ala moderata del partito: il che provocò, nel 1866, la caduta del governo liberale e il ritorno al potere dei conservatori.
Ma furono proprio i conservatori, sotto la spinta di un nuovo e dinamico leader come
Benjamin Disraeli, ad assumere l'iniziativa di una riforma elettorale più avanzata di quella proposta da Gladstone. La nuova legge (Reform Act), che fu varata nel 1867, aumentava di quasi un milione la consistenza del corpo elettorale, ammettendo al voto i lavoratori urbani a reddito più elevato. Spingendo i conservatori a farsi promotori della riforma, Disraeli mostrava di riconoscere il peso che i lavoratori dell'industria avevano assunto nella società inglese e cercava di allargare in quella direzione la base di consenso del suo partito. In un primo tempo, però, l'allargamento del suffragio favorì i liberali, tradizionalmente più radicati negli strati operai e piccolo-borghesi dell'elettorato. Nelle elezioni del 1868, i conservatori furono sconfitti e Gladstone ritornò al potere a capo di un governo decisamente orientato in senso progressista.
Sotto questo governo, che sarebbe rimasto in carica fino al 1874, l'Inghilterra conobbe un periodo di incisive riforme, che investirono i più importanti settori della vita sociale. Il sistema di istruzione pubblica fu incrementato e migliorato e fu ridimensionato il ruolo della Chiesa anglicana nella scuola. Fu affermato nell'amministrazione pubblica il principio del reclutamento tramite concorsi e fu proibita nell'esercito la compravendita dei gradi. Nel 1872 fu infine abolita la pratica del voto palese che, in uso fin allora soprattutto nelle zone rurali, aveva costituito una potente arma di condizionamento a favore dell'aristocrazia terriera.
Torna all'indice