10.2 L'esperienza liberale in Piemonte
Ben diversa da quella degli altri Stati italiani fu la vicenda politica del Piemonte sabaudo, dove, pur fra molte difficoltà e contrasti, poté sopravvivere l'esperimento costituzionale inaugurato con la concessione dello Statuto albertino. Il regno di Vittorio Emanuele II cominciò con un duro scontro fra la corona e la Camera elettiva, composta in maggioranza da democratici. Quando, nell'agosto del '49, fu conclusa la pace di Milano con l'Austria - in base alla quale il Piemonte si impegnava a pagare una forte indennità di guerra, senza però subire mutilazioni territoriali - la Camera rifiutò di approvarla. La corona e il governo, presieduto dal moderato Massimo D'Azeglio, si rivolsero allora direttamente al paese, o meglio a quella ristretta parte del paese che partecipava alle elezioni. Il 20 novembre la Camera fu sciolta e furono indette nuove consultazioni, mentre il re indirizzava agli elettori un messaggio (proclama di Moncalieri) in cui li invitava a scegliersi dei rappresentanti di orientamento più moderato, lasciando intendere che, in caso contrario, lo stesso Statuto avrebbe corso seri pericoli.
L'intervento era tutt'altro che ortodosso, ma raggiunse il suo scopo. La nuova Camera, formata in maggioranza da moderati, approvò la pace di Milano. La crisi istituzionale fu evitata e l'esperimento liberale poté proseguire senza che, dal punto di vista formale, le norme dello Statuto fossero state violate. Lo stesso re, che per temperamento e per educazione era tutt'altro che incline al liberalismo, si convinse che solo una leale accettazione del regime costituzionale avrebbe potuto permettergli di sottrarre il Piemonte alla tutela austriaca.
Fu così che il governo D'Azeglio poté portare avanti, senza ostacoli da parte della corona e con l'appoggio della maggioranza parlamentare, l'opera di modernizzazione dello Stato già avviata negli ultimi anni del regno di Carlo Alberto. Una tappa fondamentale in questo senso fu rappresentata, nel febbraio 1850, dall'approvazione di un progetto di legge presentato dal ministro della Giustizia Siccardi che riordinava i rapporti fra Stato e Chiesa, ponendo fine agli anacronistici privilegi (tribunali riservati, diritto d'asilo per le chiese e i conventi, censura sui libri) di cui il clero godeva ancora nel Regno sabaudo e adeguando la legislazione ecclesiastica del Piemonte a quella degli altri Stati cattolici europei.
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