10.4 Il Piemonte di Cavour: l'evoluzione politica e lo sviluppo economico
Cavour entrò a far parte del gabinetto D'Azeglio nell'ottobre 1850, come titolare del ministero per l'Agricoltura e il commercio. Due anni dopo, nel novembre 1852, quando D'Azeglio dovette dimettersi per contrasti col re, fu incaricato di formare il nuovo governo. Prima ancora di diventare presidente del Consiglio, Cavour si era reso protagonista di una piccola rivoluzione parlamentare, promuovendo un accordo fra l'ala più progressista della maggioranza moderata (il cosiddetto "centro-destro", di cui lui stesso era il leader), e la componente più moderata della sinistra democratica (il "centro-sinistro" capeggiato da
Urbano Rattazzi). Dall'accordo, che fu ironicamente definito connubio dai conservatori piemontesi, nacque una nuova formazione politica di centro, che relegava all'opposizione le due sparute pattuglie dei clericali-conservatori e dei democratici intransigenti. In questo modo Cavour poté allargare la base parlamentare del suo governo e spostarne l'asse verso sinistra: il che gli consentì non solo di far propria la politica patriottica e antiaustriaca sostenuta fin allora dai democratici, ma anche di rendere più incisiva la sua azione riformatrice in campo politico ed economico. L'avvento di Cavour segnò una svolta decisiva anche sul piano istituzionale. Fu infatti in questi anni che si affermò stabilmente quell'interpretazione parlamentare dello Statuto che, andando oltre la lettera del testo costituzionale, faceva dipendere la vita del governo non solo dalla fiducia del sovrano, ma anche e soprattutto dal sostegno di una maggioranza in Parlamento.
Prima come ministro dell'Agricoltura, poi come presidente del Consiglio, Cavour si adoperò per sviluppare l'economia del suo paese e per integrarla nel più ampio contesto europeo. Premessa essenziale della sua politica fu l'adozione di una linea decisamente liberoscambista: nel 1851 furono stipulati trattati commerciali con Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna; fra il '51 e il '54 fu gradualmente abolito il dazio sul grano. La caduta delle barriere doganali avvantaggiò innanzitutto il settore agricolo: in particolare la produzione del riso, diffusa nelle zone pianeggianti fra Novara e Vercelli (dove si stava affermando la grande azienda capitalistica), e le colture "specializzate" come la vite e l'ulivo, praticate nelle zone collinari del Piemonte meridionale e della Liguria.
Notevoli progressi si registrarono anche nel campo delle opere pubbliche, cui Cavour diede un fortissimo impulso, anche a costo di inasprire la pressione fiscale e di dilatare in misura inconsueta per quei tempi le dimensioni del bilancio statale. Furono costruiti strade e canali: fra gli altri quello che attraversava le zone risicole del Novarese, consentendone una razionale irrigazione, e che avrebbe poi preso il nome di canale Cavour. Fu ampliato e ammodernato il porto di Genova. Ma soprattutto furono sviluppate le ferrovie: tanto che il Piemonte, alla fine degli anni '50, disponeva di una rete di strade ferrate quasi uguale a quella di tutti gli altri Stati italiani, compreso il Lombardo-Veneto. Lo sviluppo delle ferrovie non solo ebbe effetti positivi sul commercio, ma servì da stimolo per l'industria siderurgica e meccanica: nuove aziende per la lavorazione del ferro e per la produzione di materiale ferroviario e navale (più importante di tutte l'Ansaldo) sorsero sulla riviera ligure e si affermarono grazie alle commesse statali per le ferrovie, l'esercito e la marina (questa dipendenza dall'aiuto dello Stato, che costituiva una deroga ai princìpi liberisti, era destinata a restare un carattere permanente dell'industria italiana). Uno sviluppo spontaneo ebbe invece l'industria della seta, che esportava filati e tessuti soprattutto in Francia ed era la più importante per produzione e per numero di addetti, ma anche la meno moderna e la più legata al mondo agricolo.
In questo quadro di generale sviluppo non mancavano i ritardi e gli squilibri. Le condizioni delle classi subalterne, nelle città e nelle campagne, non conobbero miglioramenti sostanziali, anche a causa del peso crescente delle imposte indirette. Il tasso di analfabetismo si mantenne elevato (fra il 1848 e il 1860 si passò dal 70 al 65%). Eppure, alla vigilia dell'unità italiana, dopo dodici anni di regime costituzionale e dieci di politica cavouriana, il Piemonte poteva vantare, in termini di sviluppo economico e civile, un bilancio quanto mai lusinghiero: un'agricoltura in fase di espansione e di modernizzazione, tanto da reggere il confronto con quella della vicina Lombardia; un'industria che, pur occupando ancora un ruolo secondario, poneva il Piemonte all'avanguardia degli Stati italiani; un sistema creditizio potenziato e riorganizzato, sempre ad opera di Cavour, intorno a una banca centrale (la Banca nazionale); una rete di trasporti efficiente e collegata con l'Europa tramite il traforo del Fréjus; un volume di scambi commerciali con l'estero che, rapportato alla popolazione, era quasi il doppio di quello medio del resto d'Italia.
Con la forza del suo esempio, il Piemonte di Cavour riuscì così a dimostrare che la causa della libertà faceva tutt'uno con quella del progresso economico e a diventare il naturale punto di riferimento per la borghesia liberale di tutta Italia. Moltissimi esuli politici (dai venti ai trentamila) si stabilirono nel Regno sabaudo fra il 1849 e il 1860. Fra di essi non pochi protagonisti delle rivoluzioni del '48-'49 e numerosi intellettuali di prestigio. Molto importante fu l'apporto di questi esuli alla vita culturale dello Stato sabaudo, che si arricchì di nuove voci e di nuove correnti intellettuali. Ma ancor più importante fu il fatto che gli emigrati prendessero parte attiva alla vita politica del Regno, amalgamandosi con la classe dirigente piemontese che diventava così sempre più rappresentativa della futura classe dirigente italiana.
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