10.7 La diplomazia di Cavour e l'alleanza con la Francia
Nei primi anni del suo governo, Cavour non aveva tra i suoi obiettivi l'unità italiana. La sua azione fu piuttosto orientata verso gli scopi tradizionali della monarchia sabauda: allargare i confini del Piemonte verso l'Italia settentrionale, a scapito dei domini austriaci e degli Stati minori del Centro-nord. Cavour perseguì però questa strategia con una abilità e una spregiudicatezza sconosciute alla vecchia diplomazia, senza mai precludersi la possibilità di raggiungere traguardi più ambiziosi.
Prima preoccupazione di Cavour, in politica estera così come in politica economica, fu quella di avvicinare il Piemonte all'Europa più moderna e più sviluppata, facendolo passare dal rango di Stato regionale a quello di media potenza europea. Un passo importante in questa direzione fu compiuto nel 1855, quando il governo piemontese rispose positivamente all'invito rivoltogli da Francia e Inghilterra di associarsi alla guerra contro la Russia (
9.6) e inviò in Crimea un corpo di 18.000 uomini al comando del generale La Marmora. In questo modo il Piemonte ottenne di poter partecipare come Stato vincitore alla conferenza di Parigi del 1856 e di poter sollevare la questione italiana di fronte a un consesso internazionale. Appoggiato dal delegato inglese, Cavour protestò contro la presenza militare austriaca nelle Legazioni pontificie e denunciò il malgoverno dello Stato della Chiesa e del Regno delle due Sicilie come causa perenne di instabilità e di tensioni rivoluzionarie, e dunque come minaccia alla pace e all'equilibrio europeo. Il Piemonte si presentava così come portavoce delle istanze di rinnovamento di tutta la borghesia italiana e insieme come strumento e garante di uno sbocco non rivoluzionario delle tensioni che si manifestavano nella penisola.
Importante sotto il profilo morale, l'esperienza del congresso di Parigi fu però avara di risultati concreti. Cavour ne uscì convinto che solo una radicale modifica dell'equilibrio europeo sancito dal congresso di Vienna avrebbe permesso al Piemonte di eliminare la presenza austriaca dall'Italia centro-settentrionale. Era dunque necessario, da un lato, mantenere viva l'agitazione patriottica (di qui l'appoggio dato da Cavour alla Società nazionale e i suoi assidui contatti con La Farina); dall'altro, assicurarsi l'appoggio dell'unica grande potenza europea veramente interessata a una modifica dello status quo: la Francia di Napoleone III. Per raggiungere il suo scopo, Cavour poté contare non solo sulle ambizioni egemoniche dell'imperatore, desideroso di riprendere la politica italiana del primo Napoleone, ma anche sulla paura suscitata in lui dal ripetersi delle agitazioni mazziniane.
Paradossalmente, fu proprio il gesto isolato di un mazziniano, che voleva vendicare l'intervento contro la Repubblica romana, ad affrettare i tempi dell'alleanza franco-piemontese. Nel gennaio del 1858, Felice Orsini, un repubblicano romagnolo che aveva ricoperto incarichi di rilievo nel '49 a Roma, attentò alla vita dell'imperatore lanciando tre bombe contro la sua carrozza, ma fallì l'obiettivo provocando molti morti tra la folla che assisteva al passaggio del corteo imperiale. Orsini - che fu subito arrestato con i suoi complici e condannato a morte - aveva agito di propria iniziativa. Ma il suo gesto gettò ulteriore discredito sul movimento mazziniano e diede spunto a Cavour per ribadire l'urgenza di una soluzione del problema italiano. Un aiuto in questo senso venne dallo stesso Orsini che, prima di salire sul patibolo, si dichiarò pentito per le conseguenze del suo gesto e scrisse due lettere all'imperatore per scongiurarlo di far propria la causa del movimento nazionale italiano. Le lettere impressionarono vivamente Napoleone III, che da allora si convinse sempre più della necessità di una iniziativa francese in Italia che soppiantasse l'egemonia austriaca, eliminando al tempo stesso un pericoloso focolaio di tensione rivoluzionaria.
Cavour ebbe, così, la strada spianata verso la conclusione di un'alleanza franco-piemontese. L'alleanza fu preparata con metodi quasi cospirativi, al di fuori dei canali ufficiali; e fu sancita in un incontro segreto fra l'imperatore e il primo ministro piemontese svoltosi nel luglio 1858 nella cittadina termale di Plombières. Gli accordi conclusi a Plombières non avevano solo il carattere di un'alleanza militare, ma ipotizzavano una nuova sistemazione dell'intera penisola italiana, che avrebbe dovuto essere divisa in tre Stati: un regno dell'Alta Italia comprendente, oltre al Piemonte, il Lombardo-Veneto e l'Emilia-Romagna, sotto la casa sabauda (che in cambio avrebbe ceduto alla Francia i territori transalpini di Nizza e della Savoia); un regno dell'Italia centrale formato dalla Toscana e dalle province pontificie; un regno meridionale, coincidente con quello delle due Sicilie liberato dalla dinastia borbonica. Al papa, che avrebbe conservato la sovranità su Roma e dintorni, sarebbe stata offerta la presidenza della futura Confederazione italiana. Dietro questo progetto, che ricalcava da vicino le ormai superate soluzioni "neoguelfe" proposte negli anni '40, si celavano in realtà due diversi disegni: quello di Napoleone III, che mirava a porre l'Italia sotto il suo controllo, mettendo un proprio parente sul trono dell'Italia centrale e appoggiando per il regno meridionale la candidatura di un figlio di Gioacchino Murat; e quello di Cavour che, pur mostrando di assecondare i progetti bonapartisti, contava soprattutto sulla forza d'attrazione del Piemonte nei confronti degli altri Stati italiani.
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