10.10 L'intervento piemontese e i plebisciti
Fino a tutta l'estate del 1860, l'iniziativa restò nelle mani di Garibaldi, che il 20 agosto, profittando della benevola neutralità della flotta inglese, riuscì a sbarcare in Calabria e poi risalì rapidamente la penisola senza che l'esercito borbonico, ormai in via di disgregazione, fosse in grado di opporgli un'efficace resistenza. Il 6 settembre, Francesco II abbandonò la capitale per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta. Il giorno dopo, Garibaldi fece il suo ingresso trionfale a Napoli.
Cavour, che aveva tentato senza successo di suscitare un movimento liberale-annessionista a Napoli prima dell'arrivo dei garibaldini, si trovò ancora una volta battuto sul tempo. Napoli liberata rischiava di trasformarsi in un quartier generale dei democratici (vi giunsero, poco dopo l'arrivo di Garibaldi, anche Mazzini e Cattaneo) e di diventare la base per una spedizione nello Stato pontificio. Un'impresa che avrebbe provocato l'intervento francese e che, se fosse andata a buon fine, avrebbe rimesso in discussione l'assetto monarchico e moderato dello stesso Regno sabaudo.
Non restava, per il governo piemontese, altra scelta se non quella di prevenire l'iniziativa garibaldina con un intervento militare. In settembre - dopo che Cavour ebbe ottenuto l'assenso di Napoleone III, impegnandosi a non minacciare Roma e il Lazio - le truppe regie varcarono i confini dello Stato della Chiesa, invasero l'Umbria e le Marche e sconfissero l'esercito pontificio nella battaglia di Castelfidardo. Ai primi di ottobre, mentre Garibaldi batteva i borbonici nella grande battaglia campale del Volturno, l'esercito sabaudo iniziò la marcia verso il Mezzogiorno. Pochi giorni dopo, il Parlamento piemontese approvò quasi all'unanimità una legge proposta da Cavour, che autorizzava il governo a decretare l'annessione, senza condizioni, di altre regioni italiane allo Stato sabaudo, purché le popolazioni interessate esprimessero la loro volontà in tal senso mediante plebisciti.
L'iniziativa tornava così - e questa volta definitivamente - nelle mani di Cavour e dei moderati. E a questa iniziativa Garibaldi non aveva concrete possibilità di opporsi, una volta esclusa l'ipotesi di uno scontro fratricida. Tanto più che la situazione nel Mezzogiorno continentale non poteva dirsi del tutto tranquilla, con un esercito borbonico ancora consistente schierato nel Nord della Campania e con episodi sempre più gravi di rivolte contadine, preannuncio di quel vasto fenomeno di insorgenza che avrebbe assunto negli anni seguenti la forma del brigantaggio. Tutto questo non faceva che rafforzare ogni giorno di più il partito della annessione incondizionata, che aveva ormai tra i suoi fautori molti fra gli stessi garibaldini.
Il 21 ottobre, in tutte le province meridionali e in Sicilia (e, due settimane dopo, anche nelle Marche e in Umbria) si tennero plebisciti nella forma voluta da Cavour: agli elettori non veniva lasciata altra scelta che quella di accettare o respingere "in blocco" l'annessione allo Stato sabaudo con la sua forma di governo, i suoi ordinamenti e le sue leggi. Molto ampia (75-80%) fu l'affluenza alle urne e addirittura schiacciante - tanto da giustificare qualche sospetto sulla regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio - la maggioranza dei sì.
A Garibaldi non restò che attendere l'arrivo dei piemontesi (lo storico incontro col re avvenne a Teano, presso Caserta, il 25 ottobre) per cedere loro ogni responsabilità nel governo delle province liberate. Mentre Garibaldi si ritirava a Caprera in volontario isolamento - annunciando la sua intenzione di riprendere a breve scadenza la lotta per la liberazione di Roma e del Veneto - e mentre Mazzini partiva verso l'ennesimo esilio, l'esercito sabaudo eliminava le ultime resistenze borboniche. Il 17 marzo 1861, il primo Parlamento nazionale - eletto secondo la legge elettorale vigente in Piemonte, e quindi su base rigorosamente censitaria - proclamava Vittorio Emanuele II re d'Italia "per grazia di Dio e volontà della nazione".
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