11. L'Italia unita: Stato e società nell'età della Destra
11.1 L'Italia nel 1861
Al momento dell'unità, l'Italia era abitata da circa 22 milioni di abitanti (26 calcolando anche la popolazione del Veneto e del Lazio). Di questi, solo 5 milioni avevano frequentato un corso di istruzione elementare (il tasso medio di analfabetismo era del 78%, con punte del 90% nei territori ex pontifici, nel Mezzogiorno e nelle isole). Molto minore - più o meno la metà - era il numero di coloro che erano effettivamente in grado di leggere e scrivere. Pochissimi - non più di 200.000 se si eccettuano i toscani - facevano uso corrente della lingua italiana. Tutti gli altri comunicavano attraverso i dialetti, di cui la stessa minoranza colta si serviva nelle conversazioni familiari e nei rapporti con la gente del popolo.
Intorno al 1860 l'Italia era, com'era sempre stata, uno dei paesi europei con il maggior numero di città. Una decina erano i centri con più di 100.000 abitanti (il più grande era Napoli con 450.000, seguivano Torino, Palermo, Milano e Roma con circa 200.000) e la popolazione urbana propriamente detta - quella che viveva in comuni con oltre 20.000 abitanti - era pari al 20% del totale. Ma la maggior parte delle città - con l'eccezione di alcuni centri maggiori come Milano, Torino, Genova e Napoli - era priva di attività produttive di grande rilievo, dal momento che le poche industrie di cui il paese disponeva erano preferibilmente dislocate lontano dai grossi centri.
La grande maggioranza degli italiani viveva nelle campagne e nei piccoli centri rurali e traeva i suoi mezzi di sostentamento dalle attività agricole. L'agricoltura occupava, infatti, il 70% della popolazione attiva, contro il 18% dell'industria e dell'artigianato e il 12% del settore terziario (commercio e servizi); e contribuiva per il 58% al prodotto lordo di tutto il paese, mentre industria e terziario vi contribuivano ciascuno per il 20% circa. Contrariamente a quanto affermava un luogo comune allora largamente diffuso, l'agricoltura italiana nel suo complesso non era affatto favorita dalle condizioni naturali. Il suolo della penisola era per quasi due terzi montagnoso. Più del 20% della superficie del paese era occupato da terre incolte o da terreni paludosi infestati dalla malaria. Anche nelle zone coltivabili di pianura e di collina, quella italiana era, con alcune rilevanti eccezioni, un'agricoltura povera (i rendimenti medi per ettaro erano pari a metà di quelli francesi e a un terzo di quelli inglesi), caratterizzata da una grande varietà di colture e di assetti produttivi.
Solo nella zona irrigua della Pianura Padana - la Bassa Lombardia e le province risicole del Piemonte - si erano sviluppate, tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, numerose aziende agricole moderne che univano l'agricoltura all'allevamento dei bovini, erano condotte con criteri capitalistici e impiegavano soprattutto manodopera salariata. Accanto ad esse coesistevano, nelle regioni del Nord, le grandi proprietà coltivate a cereali e le piccole aziende a conduzione familiare, diffuse queste ultime soprattutto nelle zone collinari della Lombardia, del Piemonte e del Veneto.
In tutta l'Italia centrale, in particolare in Toscana, Marche e Umbria, dominava invece la mezzadria. La terra era divisa in poderi, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, dove le colture cerealicole si mescolavano a quelle arboree (olivi, viti, alberi da frutta). Ciascun podere produceva quanto era necessario per il mantenimento della famiglia che viveva e lavorava sul fondo e per il pagamento del canone in natura dovuto al padrone. Il contratto mezzadrile era infatti basato sulla ripartizione degli oneri e dei ricavi fra il proprietario e il coltivatore: questi corrispondeva al proprietario metà del prodotto ed era tenuto a concorrere ai lavori di manutenzione del fondo, alle spese per il bestiame e per gli attrezzi agricoli, senza contare i numerosi oneri aggiuntivi - sempre in senso sfavorevole al contadino - di cui il contratto si era andato caricando nel corso dei secoli. In queste condizioni, il regime di mezzadria finiva col costituire un grave ostacolo all'innovazione tecnica e allo sviluppo di un'agricoltura moderna, orientata verso il mercato. In compenso consentiva una relativa pace sociale (per questo era apprezzata da molti conservatori) e assicurava un certo grado di salvaguardia del territorio e un rapporto abbastanza equilibrato fra l'uomo e l'ambiente in cui viveva: ne è testimonianza il tipico paesaggio vario e ordinato, tutto intessuto di strade e di confini e punteggiato da villaggi e piccole città, che ancora oggi sopravvive in buona parte dell'Italia centrale.
Molto diversa, da questo punto di vista, era la situazione nel Mezzogiorno e nelle isole. Se si prescinde dai terreni di montagna (dove si viveva di una agricoltura povera e polverizzata in piccolissimi appezzamenti e di un altrettanto povera pastorizia) e se si prescinde da alcune zone fertili della Campania, delle Puglie e della Sicilia, specializzate nella produzione di ortaggi e frutta, le campagne meridionali e insulari (oltre a buona parte dell'Agro romano) portavano evidente anche nel paesaggio l'impronta del latifondo: grandi distese, per lo più coltivate a grano, non interrotte da strade o da insediamenti umani, con la popolazione concentrata in pochi e grossi borghi rurali. Le tracce dell'ordinamento feudale - abolito nel 1806 nel Mezzogiorno continentale e in Sicilia solo nel 1838 - si facevano sentire pesantemente nei contratti agrari, profondamente arcaici e basati sullo scambio in natura, e nei rapporti fra i signori e i contadini, spesso caratterizzati, soprattutto in Sicilia, da forme di dipendenza personale.
Quella della Sicilia e di molte zone del Mezzogiorno era senza dubbio una situazione-limite. Ma anche nel resto d'Italia l'autoconsumo e lo scambio in natura rappresentavano, al momento dell'unità, una realtà largamente diffusa. Tutto ciò si rifletteva nel bassissimo livello di vita della popolazione rurale. I contadini italiani, nella loro grande maggioranza, vivevano ai limiti della sussistenza fisica. Si nutrivano quasi esclusivamente di pane (per lo più non di frumento, ma di cereali "inferiori" come granturco, avena e segale) e di pochi legumi: andavano quindi soggetti alle malattie da denutrizione, prima fra tutte la pellagra. Vivevano, soprattutto nel Sud, ammucchiati in abitazioni piccole e malsane, non di rado in capanne o in caverne che spesso servivano da dimora anche per gli animali.
Questa realtà non poteva essere del tutto ignota ai membri della classe dirigente, molti dei quali erano proprietari terrieri. Ma certamente il grosso dell'opinione pubblica urbana e borghese non la conobbe, almeno in un primo tempo, nei suoi termini reali e nelle sue esatte dimensioni. Nell'Italia appena unificata mancavano dati statistici completi e attendibili; ma soprattutto mancava un sistema di comunicazioni rapide fra le varie parti della penisola. Una rete ferroviaria nazionale era in pratica inesistente: nel 1861 erano in funzione circa duemila chilometri di strade ferrate, di cui due terzi in Piemonte e in Lombardia. Anche la rete stradale era gravemente carente, soprattutto nel Sud. Vaste zone del paese (le paludi pontine, parte dei territori interni della Calabria e della Sardegna, alcune valli appenniniche) erano pressoché impraticabili, conosciute solo da pastori e cacciatori.
Fra gli uomini politici settentrionali ben pochi avevano conoscenza diretta delle condizioni del Mezzogiorno. Lo stesso Cavour, che pure aveva girato in lungo e in largo per l'Europa, non si era mai spinto a sud di Firenze. Il romagnolo Farini, quando nell'autunno del 1860 fu inviato nelle province meridionali in qualità di luogotenente generale, non seppe nascondere il proprio stupore e il proprio aristocratico disprezzo: "Che barbarie! - scriveva in una lettera a Cavour - Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civili". Gli uomini cui toccò il difficilissimo compito di realizzare la vera unificazione del paese - dopo quella politica sancita dai plebisciti e dai decreti - si trovarono dunque di fronte a una realtà mal conosciuta e mal compresa: l'incontro non poteva essere facile.
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