16.4 I cattolici intransigenti e l'Opera dei congressi
Una minaccia non meno temibile, per la classe dirigente liberal-moderata, di quella costituita dal movimento socialista era rappresentata, sull'opposto versante politico, dalla massa dei cattolici militanti, fermi nella fedeltà al papa e nel conseguente rifiuto dello Stato uscito dal Risorgimento. I cattolici non organizzavano scioperi né tanto meno moti insurrezionali, ma costituivano ugualmente una forza eversiva nei confronti delle istituzioni unitarie di cui non riconoscevano la legittimità: una forza tanto più pericolosa in quanto profondamente radicata nel tessuto sociale. In particolare, nel mondo delle campagne - dove la democrazia risorgimentale non era mai riuscita a far breccia e dove i socialisti si sforzavano di penetrare con alterne fortune - i cattolici erano presenti e attivi da sempre e potevano contare sulla struttura organizzativa delle parrocchie e delle diocesi, in qualche modo parallela a quella dello Stato. I cattolici non partecipavano alle elezioni politiche, a causa del divieto papale formulato col non expedit del 1874. Ma questo divieto non si applicava alle elezioni amministrative; né significava per il movimento cattolico la rinuncia a una presenza autonoma nella vita del paese.
Proprio nel 1874, in un convegno tenuto a Venezia, un gruppo di autorevoli esponenti del mondo cattolico italiano (ecclesiastici e laici) decise di dar vita a un'organizzazione nazionale che fu chiamata Opera dei congressi. L'Opera non era un partito politico: il suo compito era quello di convocare periodicamente congressi delle associazioni cattoliche operanti in Italia - circoli giovanili, associazioni cattoliche, società di beneficenza, ecc. - assicurando loro un più stretto collegamento. Tutta l'organizzazione era saldamente controllata dal clero, di cui riproduceva la struttura gerarchica. Il suo programma si riduceva a una dichiarazione di ostilità nei confronti del liberalismo laico, della democrazia e del socialismo, a una professione di fedeltà al magistero del pontefice e alla dottrina cattolica: il che conferì all'Opera dei congressi una connotazione assai più chiusa e reazionaria rispetto a quella di altri movimenti cattolici europei.
Qualche segno di apertura si ebbe dopo il 1878, in coincidenza con l'avvento al soglio pontificio di papa Leone XIII. Sotto il suo pontificato il movimento cattolico italiano accentuò il suo impegno sul terreno sociale, cui lo spingeva fatalmente la stessa tendenza a raccogliere una base di massa. Sorsero così, soprattutto in Lombardia e nel Veneto, società di mutuo soccorso, cooperative agricole e artigiane, casse rurali, tutte controllate dal clero e ispirate ai princìpi del solidarismo cattolico. Per coordinare queste attività, all'interno dell'Opera dei congressi, fu istituita una apposita "sezione sociale".
Di fronte alla crescita delle organizzazioni cattolico-intransigenti, l'atteggiamento della classe dirigente fu incerto e oscillante. Se da un lato gli uomini della Sinistra, tutti di formazione laica e anticlericale, erano naturalmente portati a combattere l'associazionismo cattolico in ogni sua forma, dall'altro, via via che si orientavano verso posizioni più moderate, erano indotti a riconsiderare l'importanza di un accordo con la Chiesa per la stabilità politica e sociale del paese. Ma un tentativo di conciliazione che fu avviato nel 1886-87 per iniziativa di alcuni esponenti cattolico-moderati si scontrò con l'intransigenza del papa sulla questione della sovranità su Roma e si concluse con un fallimento, cui fece seguito, per contraccolpo, una nuova ondata di anticlericalismo.
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